Un nuovo studio europeo suggerisce che disastri come quello di Fukushima e Chernobyl potrebbero verificarsi ogni 10 o 20 anni. L'Europa occidentale la regione più a rischio nel mondo.
-Andrea Centini – 23 Maggio 2012 – Non abbiamo reattori nucleari in funzione nel nostro Paese ma ci troviamo a due passi da una vera e propria polveriera.
Secondo uno studio statistico condotto da ricercatori del Max Planck Institute for Chemistry di Mainz (Germania), calcolato sulla base dei reattori nucleari civili in funzione ed al numero di incidenti avvenuti, eventi catastrofici alla stregua di quello di Chernobyl potrebbero verificarsi una volta ogni 10/20 anni. In caso di catastrofe, stimata come 200 volte più probabile rispetto al passato, secondo i ricercatori tedeschi la metà del Cesio-137 radioattivo coprirebbe una superficie di oltre 1.000 chilometri attorno al reattore nucleare (attualmente ve ne sono 440 in funzione ed altri 60 sono in progetto). L'Europa occidentale sarebbe la regione più a rischio ed in base ai calcoli nei prossimi 50 anni potrebbe essere contaminata da oltre 40 kilobecquerel per metro quadro. Il becquerel (Bq), dal nome del fisico premio nobel Antoine Henri Becquerel, è l'unità di misura nel S.I. (Sistema Internazionale) per l'attività di un radionuclide, comunemente -ma non correttamente- nota come radioattività. In base ai criteri dell'Agenzia Internazionale per l'energia atomica (AIEA), una superficie viene definita contaminata proprio a partire dal valore di 40 kilobecquerel per metro quadrato.
I ricercatori sono giunti a queste conclusioni calcolando il numero totale di ore di attività di tutti i reattori nucleari al mondo rapportandolo al numero di volte in cui è avvenuta la fusione nel nucleo a seguito di un incidente (4). Va precisato che i ricercatori del Max Planck Institute non hanno tenuto in considerazione le età e le tipologie dei singoli reattori nucleari, inoltre non sono stati presi in esame fattori di rischio come ad esempio l'installazione in aree a rischio di terremoti o tsunami.
Il passo successivo dello studio è stato quello di calcolare -attraverso una simulazione al computer- la distribuzione geografica dei gas radioattivi e delle particelle inviate nell'atmosfera terrestre attorno ad un ipotetico evento catastrofico. Il modello informatico utilizzato, oltre a calcolare le condizioni meteorologiche ed i flussi, tiene conto anche delle possibili reazioni chimiche nell'atmosfera, fornendo un risultato finale estremamente credibile ed efficace.
Le simulazioni hanno rilevato che, in media, solo l'8% delle particelle di Cesio-137 si depositerebbero all'interno di un'area di 50 chilometri attorno al fulcro dell'incidente nucleare. Circa il 50% si depositerebbe in un raggio di 1.000 chilometri e circa il 25% arriverebbe oltre i 2.000 chilometri. Queste stime indicano che gli incidenti nucleari possono causare contaminazione radioattiva ben oltre i confini nazionali e l'Italia, trovandosi sulla “testa” un numero importante di reattori, non sarebbe “al sicuro” innanzi ad eventuali catastrofi. Una mappa esaustiva che esemplifica il “rischio globale di contaminazione” è osservabile cliccando sul seguente link: http://idw-online.de/de/newsimage?id=171756&size=screen
Curiosamente, sebbene la Germania abbia deciso di chiudere con l'energia nucleare dopo l'incidente di Fukushima, sarebbero proprio i cittadini tedeschi nell'area sud-occidentale del paese a correre il più alto rischio (a livello mondiale) di contaminazione radioattiva, a causa delle numerose centrali nucleari situate vicino ai confini con Francia e Belgio e per la direzione dominante del vento, verso ovest. “L'uscita della Germania dal programma di energia nucleare –spiega il professor Jos Lelieveld, coordinatore del progetto di ricerca- ridurrà indubbiamente il rischio di contaminazione radioattiva nazionale. Tuttavia, una riduzione ancor più incisiva si avrà solo se i paesi confinanti decideranno di spegnere i propri reattori. In base ai risultati ottenuti sarebbe necessario promuovere un'analisi approfondita e coordinata a livello internazionale sui reali rischi di eventuali incidenti nucleari”.
Se una singola fusione nucleare dovesse avvenire in Europa occidentale si stima che interesserebbe circa 28 milioni di persone, ben 34 milioni se avvenisse in Asia meridionale (a causa della maggiore densità delle popolazioni) e tra i 14 ed i 21 milioni negli Stati Uniti e nell'Asia orientale. Numeri impressionanti che fanno indubbiamente riflettere, sebbene una recentissima ricerca -tutta da dimostrare- condotta da ricercatori del Massachussetts Institute of Tecnology (il prestigioso M.I.T.) abbia messo in discussione la pericolosità delle radiazioni a determinati tassi di esposizione.
Fonte: http://www.articolotre.com
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