Il Telescopio Spaziale WISE scopre 6200 asteroidi killer della Terra capaci di un effetto Tunguska su scala planetaria
La Terra saluta l’asteroide 2012LZ1. Nessun pericolo per la nostra civiltà. Per ora. L’incontro ravvicinato è stato sicuramente degno della nostra massima attenzione. Bombardata di onde radio dalla Nasa, dal radiotelescopio di Arecibo e di Goldstone, e dal Comando Strategico Norad, la montagnola spaziale del diametro di 500 metri, è volata via tranquilla nello spazio siderale. L’evento Tunguska del 30 giugno 1908 e l’Armageddon di 65 milioni di anni fa, sono rinviati. Sine die? Nulla in confronto al “flyby” con la Terra del nuovo asteroide 2012DA14 di circa 50 metri di diametro (come quello di Tunguska), scoperto dagli astronomi dell’Osservatorio LaSagra in Spagna, che il prossimo 15 Febbraio 2013 attraverserà il piano orbitale terrestre, a 21mila miglia dal centro della Terra, invadendo l’affollata “prateria” dei nostri satelliti geostazionari. Sebbene le probabilità d’impatto sulla Terra, secondo la Nasa, siano per ora dell’ordine dello 0,031 percento, l’asteroide 2012DA14, scoperto quando si trovava a una distanza di 4.335.000 Km dalla Terra, sarebbe in grado di liberare un’energia pari a quella di una bomba termonucleare di 2,4 megatoni. Potenzialmente capace di distruggere una metropoli e di scatenare l’inferno per centinaia di chilometri quadrati, materializzando il peggiore degli scenari possibili, sicuramente ben al di là dell’evento di Tunguska. Gli attuali calcoli fanno propendere per l’incontro ravvicinato con la montagnola extraterrestre che diventerà brillante (settima o sesta magnitudine) man mano che si avvicinerà alla Terra. La cautela è d’obbligo. Nei prossimi mesi i parametri orbitali potrebbero mutare in meglio o in peggio, poco prima dell’inserimento ufficiale di 2012 DA14 nella “lista nera” dei PHA. Sfortunatamente nessuno oggi è in grado di prevedere nulla: se , dove, a che ora, chi o che cosa colpirà e con quali conseguenze. Passerà molto vicino alla Terra, ad appena 21mila miglia dal centro del nostro pianeta. Gli scienziati del Jet Propulsion Laboratory della Nasa in Pasadena (California) non si sbilanciano più di tanto. Attualmente i telescopi offrono dell’asteroide 2012DA14 una suggestiva e pacifica immagine cosmica: l’oggetto non è più grande di un piccolo batuffolo d’ovatta. La “linea di fuoco” scelta dall’iceberg spaziale, che sembra puntare decisamente verso la Terra, stavolta appare preoccupante. Le due orbite finiranno per sovrapporsi e/o incrociarsi? La Stazione Spaziale Internazionale dovrebbe essere al sicuro. Naturalmente la Nasa, l’Esa e i principali istituti scientifici governativi e non, in questi mesi forniranno tutte le informazioni possibili e immaginabili. Ma, nel caso d’impatto finale al suolo o in mare, non se ne conosceranno le coordinate precise se non pochissime ore prima.
I danni, però, potrebbero essere molto importanti e le perdite di vite umane molto gravi, se l’asteroide dovesse frammentarsi durante la caduta, colpendo aree tettoniche e vulcaniche della Terra assai delicate e sensibili. Il pianeta potrebbe accusare il colpo inferto e resistere. E la civiltà salvarsi, sempre che non si inneschino “reazioni” geologiche a catena! In tal caso anche per un piccolo oggetto come questo, passare alla Storia dell’umanità sarebbe impresa fin troppo facile. Le chance d’impatto di 2012DA14, se mancasse stavolta la Terra, potrebbero aumentare o diminuire al prossimo appuntamento del 2020, a causa dei considerevoli effetti gravitazionali indotti sull’asteroide dalla massa della Terra. Alcuni scienziati più coraggiosi, però, immaginano già l’impatto del 2013 nell’Antartico, nell’Oceano Pacifico o nell’Oceano Indiano. È questione di attimi e di coincidenze (http://www.minorplanets.org/OLS/; http://planetary.org/blogs/guest-blogs/3418.html). Il 30 giugno 1908, sulla linea di fuoco dell’oggetto che distrusse centinaia di chilometri quadrati di taiga siberiana, abbattendo al suolo 60 milioni di alberi, c’erano anche importanti città della Russia e dell’Europa. L’esplosione termonucleare in atmosfera di un piccolo asteroide o di una cometa di 140mila tonnellate di roccia e ghiaccio extraterrestri, non avrebbe estinto la civiltà ma, se fosse avvenuta pochi minuti prima, avrebbe potuto benissimo spazzare via più di una capitale! Il nuovo asteroide 2012LZ1 che ci ha sfiorato poche ore fa, orbita un po’ più in là della Luna, non nello spazio profondo ma nella nostra più immediata periferia. Il passaggio ravvicinato con la Terra (02:00 ore italiane di Venerdì 15 giugno 2012) da una distanza di 3,3 milioni di miglia (14 volte la tratta Terra-Luna, ossia 0.036 A.U., cioè 5,3 milioni di chilometri) pur non rappresentando una seria minaccia, ha suscitato una grande attenzione negli ambienti scientifici internazionali. Perchè, complice l’accuratezza delle osservazioni e delle misure, gli incontri ravvicinati con questi oggetti sembrano aumentare.
Un po’ meno attenzione suscitano questi eventi tra le persone comuni alle prese con i mille problemi quotidiani della vita: la famiglia, le nuove tasse per salvare l’euro-moneta e l’Impero finanziario “Mes”; la molliccia performance della nazionale azzurra di calcio agli Europei 2012; la vigilia di un nuovo conflitto in Siria; gli affari d’oro del florido mercato internazionale degli armamenti; i terremoti e la mancata messa in sicurezza del territorio italiano; la persecuzione degli scienziati; l’eterna battaglia tra i creazionisti e gli evoluzionisti di Darwin; la fuga dei cervelli e i pochi soldi alla ricerca pubblica. Fatti che non hanno impedito al grosso masso spaziale 2012LZ1 di balzare all’onore delle cronache scientifiche per l’ennesimo improvviso capolino di avvertimento ai naviganti. E le osservazioni “live” del brillante oggetto cosmico non sono certamente mancate, grazie ai telescopi dislocati dappertutto, anche sulle europee Isole Canarie. Gli astronomi Nick Howes, Ernesto Guido e Giovanni Sostero dell’Osservatorio italiano di Remanzacco hanno effettuato eccezionali riprese dell’asteroide oblungo che si muove parallelo al nostro pianeta con un profilo orbitale favorevole che consente di tracciarlo nelle prossime settimane. L’oggetto 2012LZ1 non ha distrutto la Terra e la civiltà ma i suoi 6200 fratelli maggiori PHA, appena scoperti dal Telescopio Spaziale Infrarosso WISE della Nasa, potrebbero tranquillamente farlo in qualsiasi momento perché sono dei potenziali killer. Senza alcun preavviso, senza un pre-allerta e senza un pre-allarme! Nei suoi 4,5 miliardi di anni, la Terra è stata colpita diverse volte da asteroidi e comete che hanno estinto milioni di specie viventi sul pianeta. Finora la vita ce l’ha sempre fatta, ricominciando tutto daccapo. A 65 milioni anni dall’estinzione dei dinosauri, causata dall’impatto di un asteroide di 10 Km di diametro, non possiamo permetterci la benchè minima disattenzione.
Tutti i telescopi terrestri e spaziali, compreso il Wide-field Infrared Survey Explorer (WISE), hanno fatto il loro dovere per immortale il nuovo asteroide Near-Earth, classificato ufficialmente dal Minor Planet Center con il documento 2012-L30 del 12 giugno 2012. Che ha annunciato la scoperta dell’astronomo R. H. McNaught, grazie alle riprese digitali effettuate con il suo telescopio Uppsala Schmidt di 50 cm. di diametro, durante la “Siding Spring Survey”. Poche ore dopo l’oggetto è stato elevato dalla comunità scientifica internazionale al rango di “Potentially Hazardous Asteroid”(PHA), cioè uno di quegli scogli interplanetari più grandi di 100 metri di diametro che possono improvvisamente incrociare la Terra a meno di 0.05 Unità Astronomiche (una A.U. è la distanza Terra-Sole, circa 150 milioni di chilometri). Sia chiaro. Finora nessuno dei PHA conosciuti è in rotta di collisione con il nostro pianeta, altrimenti non saremmo qui a raccontarlo, travolti dal panico di massa, prima dell’onda d’urto! Ma la loro scoperta prosegue. Ogni giorno un migliaio di questi oggetti che orbita lassù nei cieli a meno di 8 milioni di Km di distanza, presenta ai terrestri la sua quota di rischio. Così l’inseguimento (follow-up) di questa piccola montagna cosmica grazie ai dispositivi CCD accoppiati al fuoco dei telescopi ottici, si è rivelato un autentico lavoro di Protezione Civile Planetaria. La luminosità è andata crescendo fino a diventare visibile a telescopi di 15 cm di diametro. Le osservazioni proseguiranno fino a quando l’asteroide sarà visibile. È possibile seguire in diretta eventi di questo genere sul sito http://events.slooh.com/. L’asteroide 2012 LZ1, illuminato a giorno anche dai radar civili e militari, è stato scoperto nella notte tra il 10 e l’11 giugno 2012 da Rob McNaught e colleghi all’Osservatorio Siding Spring in Australia. Gli scienziati ne avevano inizialmente stimato una grandezza compresa tra i 300 e i 700 metri, ma in prossimità della Terra i parametri orbitali e le caratteristiche fisiche dell’oggetto possono essere studiati con più precisione. La sua nuova qualifica a PHA è l’ennesimo avviso ai naviganti. Da una distanza di 7,5 milioni di Km dalla Terra, potrebbe scatenarsi l’apocalisse, prima o poi. Se siamo fortunati, con un pre-avviso massimo di pochissime ore. Stavolta è andata bene, grazie a Dio. Ma le dimensioni di 2012 LZ1 richiamano alla memoria un altro asteroid: 2005 YU55, il cui previsto “flyby” con la Terra suscitò grande attenzione in tutto il mondo per il massimo avvicinamento a 324.600 Km, nella notte dell’8 novembre 2011.
La roccia spaziale 2005 YU55 infranse il Guinness World Record di “prossimità” detenuto da un altro suo illustre “collega” dal 1976. Gli astronomi hanno identificato più di 9mila asteroidi Near-Earth e pensano che ve ne siano lassù molti di più, in attesa di essere scoperti. L’Astronomia è una scienza molto seria e importante quando viene esercitata con metodo e costanza, dagli Osservatori pubblici e privati, dalla Terra e dallo spazio, partecipando ai progetti scientifici seri. Qui non si ascoltano gli Extraterrestri! La Nasa, l’Esa e tutte le altre agenzie pubbliche governative fanno quello che possono per classificare asteroidi e comete. Ma non basta. La popolazione di oggetti-killer nel Sistema Solare, senza considerare gli oscuri iceberg esterni che, a differenza delle “nostre” comete, con le loro fatali orbite iperboliche sarebbero praticamente invisibili fino al fatto compiuto, è ancora tremendamente alta e sconosciuta. I risultati acquisiti dagli scienziati della Nasa con il Telescopio Spaziale Infrarosso Wise, rivelano ogni giorno nuove informazioni sulla nostra ignoranza in materia ma anche sulle origini, sul numero, sulla chimica e sulle potenzialità distruttive ed economiche di queste antiche “montagne” cosmiche, i legittimi eredi della prima “creazione” del Sistema Solare. Naturalmente le più dense e veloci, in caso di impatto sulla Terra, sarebbero fatali per la stessa integrità strutturale del pianeta. I PHA sono una sotto-classe del più vasto gruppo di asteroidi Near-Earth. Le loro dimensioni li rende altrettanto pericolosi perché sono in grado di attraversare in pochi istanti la nostra atmosfera causando epocali esplosioni termonucleari in mare e in terra, su vasta scala, incendiando l’atmosfera, provocando danni incalcolabili e sicuramente ingestibili per qualsiasi Protezione Civile nazionale, con effetti a livello regionale, continentale e planetario. La missione “NeoWise” della Nasa ha censito ultimamente 107 asteroidi PHA per calcolare l’esatto ammontare dell’intera popolazione del Sistema Solare. È venuto fuori un numero di 4700 asteroidi potenzialmente letali per la Terra, con un errore stimato di più o meno 1500 oggetti, con diametro superiore ai 100 metri. Si deduce che solo il 20-30 percento di tutti questi oggetti è stato finora scoperto, inseguito e tracciato.
C’è lavoro per tutti. Mentre le stime precedenti dei PHA erano pure approssimazioni matematiche, ora il Progetto NeoWise della Nasa produce un’analisi credibile per il numero e le dimensioni di queste montagne spaziali che potrebbero un giorno piombarci improvvisamente addosso. Nello scacchiere cosmico giochiamo un ruolo davvero marginale ma altrettanto importante se diventiamo finalmente consapevoli della pericolosità di questi oggetti che non guardano in faccia a nessuno. Se non poco prima della fine del mondo. Ogni giorno la vita sulla Terra è un dono di Dio. In base alle stime della Nasa potrebbero esserci fino a un massimo di 6200 asteroidi killer là fuori. Molto resta da scoprire e studiare nei prossimi anni per censire direttamente tutta la popolazione e, laddove sarà possibile, per programmare missioni spaziali umane ed automatiche per l’eventuale deviazione orbitale (non necessariamente con il bombardamento nucleare dell’asteroide o della cometa!) dell’oggetto in rotta di collisione con la Terra. Le nuove analisi della Nasa dimostrano che circa il doppio dei PHA, rispetto al numero precedentemente atteso, orbita lungo rotte a inclinazione più bassa. Siamo in presenza di asteroidi più radenti. Una geometria di volo che li rende certamente più pericolosi in quanto possono sovrapporsi al piano orbitale della Terra, ma anche più brillanti e visibili anche se più piccoli rispetto ad altri grossi asteroidi Near-Earth che trascorrono la maggior parte del loro tempo molto più lontani dalla Terra, sopra o sotto il nostro piano orbitale. In questo caso è la capacità di calcolo degli elaboratori elettronici a farla da padrona per simulare i vari scenari in tempo utile (che la Apple Inc. batta un colpo!). Una possibile spiegazione del fenomeno osservato dal Telescopio Spaziale Wise, è che molti PHA si siano originati dalla collisione tra oggetti più grandi nella Prima Fascia di asteroidi situata tra le orbite di Marte e Giove. Forse sono “figli” della disintegrazione di un piccolo pianeta roccioso che orbitava tanto tempo fa, a bassa inclinazione orbitale. Questi PHA si sarebbero così originati da uno spettacolare impatto cosmico. Alcuni frammenti si sarebbero poi avvicinati alla Terra, conquistando le attuali orbite. Questi asteroidi sono anche i più facili da scoprire e da raggiungere dalle future missioni umane pubbliche e private, comprese quelle minerarie delle “corporation” figlie della liberalizzazione dell’impresa spaziale privata in corso negli Stati Uniti d’America. Il Progetto NeoWise della Nasa segna l’ennesima pietra miliare nella storia della Planetologia, illuminando a giorno le nostre origini e il nostro destino. Gli scienziati sono entusiasti e sorpresi nel registrare tutta quest’abbondanza di asteroidi PHA a bassa inclinazione orbitale. Essi rappresentano, in verità, uno scrigno di incommensurabili tesori minerari per l’umanità che ripudia la guerra come metodo di soluzione delle controversie politiche ed energetiche. Sì, miniere a cielo aperto ricchissime di ogni ben di Dio! Di minerali preziosi e rari sulla Terra. Queste montagne spaziali ci offrono la soluzione più logica alla più grave crisi economica dal 1929. Ci offrono il credito e la pace, cioè l’opportunità di rivoluzionare la nostra economia mondiale senza scatenare nuovi e più devastanti conflitti tra popoli, stati e nazioni in nome della ricerca e del controllo delle materie prime e delle fonti di energia. L’esploratore e regista James Cameron, in compagnia di altri miliardari, ha già dato il via libera al suo nuovo Progetto interplanetario minerario. La scoperta dei PHA e l’analisi della loro luce consente di analizzarne la composizione chimico-fisica, alla ricerca di ciò che ci occorre per costruire nello spazio città, stazioni, astronavi, depositi, vie di comunicazione, il futuro della nostra civiltà. Queste rocce spaziali non sono solo potenziali killer della Terra ma anche miniere da conquistare. Ricche di acqua in quantità infinitamente superiori a quelle esistenti sulla Terra. Gli scienziati possono studiare il modo di catturarle, mettendole in sicurezza con poderosi raggi-trattori gravitazionali, di deviarle e finanche di distruggerle se necessario. I risultati del Telescopio Spaziale Wise, un progetto da 320 milioni di dollari, vengono pubblicati sul prestigioso Astrophysical Journal (http://www.nasa.gov/wise e http://jpl.nasa.gov/wise). Finora sono stati fotografati 600 asteroidi Near-Earth.
Durante la caccia, Wise si è spinto molto più in là delle più rosse aspettative. Ha classificato asteroidi distanti fino a 195 milioni di Km dal Sole, la nostra attuale “prima linea” di sicurezza e di difesa! Scoperto il 28 dicembre 2005 da Robert McMillan dello Spacewatch Program di Tucson (Arizona, Usa) l’oggetto 2005 YU55 al massimo avvicinamento con la Terra, alle 00:28 ore italiane del 9 novembre 2011, sfrecciò alla quota di 324.600 chilometri, ossia l’85% della distanza Terra-Luna. L’antenna di 70 metri del Deep Space Network della Nasa (Goldstone, California) catturò nuove immagini radar. Nell’ultimo incontro ravvicinato del 1976, gli astronomi non riuscirono a prevedere il “flyby”. Il prossimo approccio con un altro oggetto di queste dimensioni avverrà nel 2028. Gli scienziati hanno calcolato che gli effetti gravitazionali dell’asteroide sulla Terra sono stati ininfluenti sia sulle maree sia sulle placche tettoniche. Sebbene l’oggetto si trovi su un’orbita che regolarmente lo porta in prossimità dei pianeti Terra, Venere e Marte, l’incontro del 9 novembre 2011 è stato il più vicino negli ultimi due secoli. La Nasa individua, segue e caratterizza gli asteroidi e le comete che si avvicinano alla Terra utilizzando i telescopi spaziali e terrestri. Il famoso Near-Earth Object Observations Program del Propulsion Laboratory (Pasadena), comunemente noto come Spaceguard, grazie agli scienziati della Nasa e delle più prestigiose università del mondo, scopre ogni anno nuovi oggetti di questo tipo, tracciandone l’orbita per determinarne l’eventuale pericolosità per il nostro pianeta. Gli astronomi riuscirono a prevedere l’incontro con 2005YU55 in anticipo: infatti l’asteroide presenta un eccezionale segnale radar. Le onde trasmesse da Goldstone e Arecibo, riflesse dall’oggetto, riuscirono a stanarlo rivelando particolari significativi sulla forma, le dimensioni, la composizione e la superficie della roccia, quasi un mini-pianeta sferico. Dettagli molto importanti per capire l’evoluzione dell’oggetto e della sua orbita, magari per futuri incontri ravvicinati e, forse chissà, per programmare finalmente un’economica missione umana per il primo sbarco su un asteroide proprio in occasione del prossimo massimo avvicinamento alla Terra. Non è la prima volta che oggetti di queste dimensioni volano vicini alla Terra. Ma è stata sicuramente la prima volta che gli astronomi ne hanno potuto conoscere con largo anticipo il “flyby” e le sue reali intenzioni. Nel 1976 l’asteroide 2010XC15 segnò un record passando vicino alla Luna. Ma gli scienziati scoprirono l’evento 24 anni dopo! Ecco perché il passaggio di 2005YU55 è stata la più rara occasione scientifica (purtroppo non astronautica!) per studiarlo così da vicino. La prossima volta ad offrirla saranno l’asteroide 2001VN5, il 26 giugno 2028 (ancora più vicino alla Terra), e il ben più interessante Apophis che il 13 aprile 2029 attraverserà lo spazio dei nostri satelliti geostazionari, entro i 36mila Km dal centro della Terra. Tutti gli astronomi, professionisti e non, sono mobilitati. Tutti gli Osservatori astronomici sulla Terra hanno l’opportunità di immortalare questi eventi cosmici che vivremo in prima persona a Dio piacendo.
Binocoli e telescopi di medie dimensioni, possono catturare questi eventi e la gara è appena cominciata. Assodato che il prossimo “flyby” di 2005YU55 è in programma nel 2041, possiamo organizzare una missione spaziale umana invece di spendere miliardi di euro in armi e guerre senza senso! Nell’aprile 2010 il grande radiotelescopio di 300 metri di Arecibo, ne aveva calcolato le dimensioni e la luminosità. In effetti è abbastanza scuro, probabilmente ricco di carbonio, con un periodo orbitale di circa 18 ore. Tanto dura un giorno lassù. Uno spettacolare micro-mondo dalle infinite sorprese. Se avesse colpito la Terra, non importa su un continente o in mezzo all’oceano, avrebbe liberato l’energia di migliaia di megatoni, diverse centinaia di bombe all’idrogeno del tipo Tsar, cancellando la vita di miliardi di persone, precipitando la Terra in un inverno nucleare e compromettendo per chissà quanti secoli i delicati equilibri della biosfera. Oggetti di questo tipo sono una costante minaccia per la Terra. Ecco perché bisogna scoprirli, osservarli e studiarli. Le nostre sentinelle sono gli astronomi dello Spaceguard Program. Nel 2029 l’asteroide 2005YU55 passerà a sole 175mila miglia da Venere, a una distanza sufficiente per la prima possibile variazione orbitale che nel 2041 anni potrebbe fargli allungare o accorciare ulteriormente l’appuntamento ravvicinato con la Terra. L’incertezza è ancora alta. Conoscere i segreti di questi grossi iceberg cosmici è molto utile per valutare le caratteristiche di oggetti analoghi e più pericolosi in giro nel Sistema Solare. Le varie osservazioni ed elaborazioni matematiche servono a perfezionare le nostre capacità previsionali e le tecnologie di difesa planetaria. L’evento offerto da 2005YU55 è stato un unicum negli ultimi duecento anni. Le coordinate astronomiche disponibili (http://ssd.jpl.nasa.gov/) possono aiutare le osservazioni, ma occorre pur sempre un preciso dispositivo di puntamento, con un computer accoppiato alla montatura del telescopio, per l’inseguimento degli asteroidi e delle comete. Questi eventi ci ricordano che viviamo in un Universo autocosciente dalle infinite possibilità, tra meraviglia, sorpresa e angoscia per l’inevitabile. Siamo “costretti” ad assistere agli eventi cosmici senza poter interferire in alcun modo nell’ordine naturale degli eventi. Con le dovute eccezioni. La Nasa ha bombardato un nucleo cometario nel 2005 ma questo non prova affatto che oggi siamo in grado di deviare un asteroide o una cometa prima dell’inesorabile impatto sulla Terra! È già accaduto 65 milioni di anni fa. I dinosauri e tutte le forme di vita più grosse di un ratto si estinsero per sempre. Accadrà di nuovo. Quando? Se vogliamo capirlo dobbiamo studiare gli asteroidi e le comete. Non solo quelle del Sistema Solare. Perché gli oggetti-killer potrebbero giungere da molto più lontano. Magari dai vicini sistemi solari. Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo conoscerli, sperando che l’Universo sia d’accordo. Dobbiamo, cioè, sviluppare una nuova tecnologia che sia in grado di distruggere e/o deflettere questi oggetti molti anni prima del loro ingresso nello Spazio Orbitale di Sicurezza per la Terra, un’area inviolabile. Sfortunatamente oggi non possiamo farlo. Certamente abbiamo la capacità teorica (fisica, scientifica e tecnologica, ma non politica!) di proteggere la Terra da catastrofici impatti cosmici. Anche se i veri pericoli di devastazione per il nostro pianeta, possono improvvisamente giungere dai megaflares X solari, nel giro di poche ore, e dalla follia umana.
Il problema è di natura squisitamente politica, per i colossali investimenti necessari ad approntare difese planetarie che non avrebbero un’immediata utilità elettorale. I missili nucleari a questo servono. Non a scatenare la terza o la quarta guerra mondiale. Avete capito bene: Siria, Iran e Israele farebbero bene a riflettere sulle conseguenze delle loro azioni. In effetti, oggi disponiamo di tecnologie nucleari in grado di disgregare asteroidi e comete distanti decine di milioni di chilometri dalla Terra. Non avrebbe senso farlo con oggetti vicini come 2005YU55, i cui frammenti potrebbero caderci addosso. Se gli scienziati scoprissero una potenziale minaccia per la Terra con dieci anni di anticipo, potremmo inviare una sonda automatica armata di testata termonucleare, per distruggere la roccia o l’iceberg spaziale. Non tutti sono d’accordo. Perché le leggi della meccanica celeste ci offrono un’alternativa più economica: la deviazione orbitale dell’asteroide o della cometa killer grazie a un raggio laser-trattore in grado di spostare quanto basta l’oggetto dalla corsa orbitale d’impatto. Una spintarella, insomma, sarebbe l’opzione giusta. I laser e i riflettori di Archimede esistono già. Ma chi autorizza il loro impiego nello spazio esterno? Forse l’Onu? L’umanità è a un bivio decisivo: l’autodistruzione reciproca assicurata o l’evoluzione etica, morale, politica, economica, sociale e culturale. La Natura ce lo ricorda durante questi eventi. Quali sono le nostre intenzioni? Dobbiamo liberalizzare l’impresa spaziale privata anche negli Stati Uniti d’Europa per trasformare la nostra aggressività reciproca in progetti concreti e fattibili di difesa planetaria, prima che sia troppo tardi. Gli scienziati-imprenditori debbono lanciare il loro guanto di sfida ai veri politici. La robotica e l’informatica hanno fatto passi da gigante anche per scongiurare questo genere di minacce cosmiche. La Nasa nel 2005 ha bombardato la cometa Tempel 1 con una sonda convenzionale per studiarne la composizione dei ghiacci. È storia, non fantascienza. Eppure in sette anni non è stato varato un solo progetto attivo di difesa interplanetaria! I soldi vengono spesi in armamenti e guerre senza senso. Opzione nucleare o impattore-deviatore per scongiurare l’apocalisse cosmica sulla Terra?Dipende. In primis ciò che conta è la conservazione del momento angolare dell’oggetto-killer. Un conto è sbriciolarlo in polvere interstellare. Un conto è spezzarlo in frammenti grossi che colpirebbero comunque la Terra. Ecco il problema politico: non esiste nella comunità scientifica internazionale un preciso ordine di idee sul da farsi. Ci si perde in chiacchiere infinite senza decidere nulla. E il tempo passa. Occorre convincersi della naturale evidenza sconcertante dei fatti: prima o poi faremo la fine dei dinosauri, se non sapremo difenderci. La presenza di armi nucleari nello spazio (orbitale) è vietata da norme internazionali. Ma non siamo più all’epoca della “guerra fredda”. L’Onu dovrebbe agire di conseguenza, per il via libera ai progetti spaziali nucleari di pace, volti alla messa in sicurezza della Terra da ogni minaccia esterna. Perché l’opzione nucleare contro asteroidi e comete killer, è certamente l’estrema ratio subito dopo i raggi trattori gravitazionali e le sonde da impatto. Ma chi ci assicura che la scelta tra queste tre carte sia quella giusta?Non dovremmo, forse, contemplarle tutte insieme? Altre idee sono in cantiere, grazie all’evoluzione spaziale dei famosi “specchi ustori” di Archimede. Enormi riflettori a nido d’ape, a geometria variabile, sottilissimi, potrebbero essere lanciati nel Sistema Solare, a bordo di speciali sonde automatiche, per essere dispiegati in prossimità di minacce cosmiche per la Terra. Queste navicelle potrebbero così concentrare la luce solare sulla superficie di asteroidi e comete, vaporizzandoli e/o producendo getti di gas in grado di deviarli dall’orbita d’impatto. Progetti di questi tipo si possono mettere in cantiere e completare nel giro di cinque anni, finanziamenti permettendo. Saremmo così in grado di deviare, vaporizzare e scongiurare qualsiasi minaccia si presenti alle nostre porte, cioè poco più in là della Luna. Ma potremmo anche mettere le vele su questi oggetti killer per poi sparare loro dei laser: la pressione dei fotoni sarebbe sufficiente ad allontanarli dalla Terra. Sogni o realtà?Servono investimenti a lunga scadenza. Non a fondo perduto come accade nella politica italiana di Frodo e Frego che ama dare fiato ai mediocri bipartisan di turno oggi al potere sul territorio. Serve, cioè, un vigoroso scatto d’orgoglio mondiale, globale, naturale, incomprensibile a chi è contro-natura! Gli scienziati l’hanno capita la morale della favola di questi incontri ravvicinati: la chiave di volta per salvare la Terra dall’apocalisse cosmica è quella di individuare in largo anticipo il tipo di minaccia per approntare in poco tempo la risposta appropriata. Almeno dieci anni prima dell’impatto, un tempo appena sufficiente per mobilitare le forze politiche ed intellettuali della Terra. Attualmente non saremmo in grado di farlo. Anche perché i nostri radar e telescopi sono ancora insufficienti ad inquadrare il genere di minaccia in tempo utile. Se e quando li scoprissimo, sarebbe già troppo tardi. Servirebbero intere batterie di radiotelescopi e telescopi ottici sul lato oscuro della Luna, che non abbiamo. Le comete sono più pericolose degli asteroidi perché velocissime e letali quando vengono frantumate dalle forze mareali gravitazionali (Giove, luglio 1994) prima dell’impatto. Il nuovo censimento offerto dal telescopio Wise della Nasa mostra che ci sono significativamente meno asteroidi del tipo Near-Earth di medie dimensioni nel Sistema Solare rispetto a quanto previsto. Dobbiamo dormire sonni più tranquilli? Niente affatto. Le ricerche indicano che la Nasa ha trovato più del 90 percento dei più grandi asteroidi in grado di avvicinarsi alla Terra, raggiungendo l’obiettivo programmato nel famoso congresso internazionale del 1998. Gli astronomi ora stimano che ci siano 19.500 (non più 35.000) asteroidi Near-Earth di grosse dimensioni. Tuttavia è la deduzione illogica di alcuni scienziati, secondo cui la scoperta farebbe abbassare considerevolmente il livello di rischio per la Terra rispetto a quanto finora pensato, a suscitare le maggiori perplessità. Neppure gli impatti di livello estintivo sono esclusi del tutto, figurarsi le catastrofi continentali prodotte dalla potenziale minaccia di altre centinaia di migliaia di oggetti finora esclusi dalla ricerca di Wise. Anche perché la maggior parte degli asteroidi di medie dimensioni (a questo punto i più pericolosi, il 10 percento) devono essere ancora scoperti. Non sappiamo nulla di loro. Dove e come orbitano, di cosa sono fatti. Le ricerche oggi si concentrano principalmente sugli oggetti tra i 100 e i 1.000 metri di diametro che nelle loro orbite, pur avendo più basse probabilità d’impatto, si avvicinano maggiormente al nostro mondo. Il censimento presentato dalla Nasa è certamente il più accurato in assoluto sui NEO (Near-Earth Objects), le rocce spaziali che orbitano entro i 195 milioni di chilometri dal Sole e che possono invadere lo spazio orbitale terrestre. Wise ha osservato la luce infrarossa emanata da questa categoria di oggetti di medie dimensioni. La ricerca, denominata NeoWise, un’estensione della missione principale del telescopio spaziale, è stata pubblicata sull’Astrophysical Journal. Il progetto permette agli scienziati di catalogare un gran numero di asteroidi offrendo la migliore stima sull’intera popolazione dei NEO. Come il censimento decennale della popolazione, studiando un piccolo campione di queste potenziali minacce per la Terra, è possibile capire come si comporteranno tutte le altre. Wise ha sondato l’intera volta celeste nella luce infrarossa tra il gennaio 2010 e il febbraio 2011, immortalando lontane galassie, stelle, nebulose, asteoridi e comete. NeoWise ha osservato più di 100mila asteroidi della Prima Fascia, tra le orbite di Marte e Giove, e 600 NEO. Il telescopio ha catturato oggetti con una precisione mai raggiunta prima nella luce visibile, in quanto i suoi sensori infrarossi possono osservare oggetti luminosi ed oscuri (ricchi di carbonio). La luce riflessa dai corpi oscuri è più difficile da individuare, ma i telescopi sensibili all’infrarosso possono farlo in quanto osservano il calore dell’oggetto. Sebbene i dati di Wise rivelino solo una piccola correzione nella stima del numero degli asteroidi NEO più grandi di un chilometro di diametro, è certo che il 93 percento della popolazione deve essere ancora trovata. Il primo obiettivo del Programma Spaceguard è stato completato, ma non basta. Altri oggetti delle dimensioni di una montagna potrebbero benissimo devastare la Terra senza preavviso. I nuovi dati ne aggiornano il numero da 1.000 a 981, dei quali 911 sono già stati scoperti. Sembra che nessuno di questi appena trovati possa rappresentare una seria minaccia immediata per la Terra nei prossimi secoli. Grazie a telescopi come Wise, gli scienziati oggi possono tranquillamente affermare che l’intera popolazione dei NEO (10 Km di diametro) grossi come quello che cancellò i dinosauri dalla faccia della Terra, sia stata trovata. Il rischio di un singolo impatto estintivo sembra scongiurato o comunque ridotto. Ma cosa possiamo dire sugli impatti multipli di piccoli oggetti ancora sconosciuti? Lo abbiamo visto su Giove nel luglio 1994. Lo scenario più improbabile e imprevedibile per la Terra ma altrettanto devastante. Cicatrici del genere le troviamo sulla Luna, su Mercurio, su Marte e su tutte le lune del Sistema Solare. Wise ha circoscritto l’indagine agli oggetti più grandi. Servono telescopi più potenti. Asteroidi e comete di medie dimensioni potrebbero pur sempre distruggere un continente.
I dati di NeoWise abbassano sensibilmente il rischio d’impatto per i NEO più grossi ma non risolvono la questione spinosa, ancora aperta nel Programma Spaceguard, di trovare, catalogare e tracciare i 6.200 asteroidi PHA di oltre 100 metri di diametro, i 15mila oggetti ignoti più grossi e il milione di NEO più piccoli, di cui non si sa praticamente nulla, in grado di distruggere una metropoli senza alcun preavviso. All’inizio del famoso film “Armageddon – Giudizio finale” diretto nel 1998 da Michael Bay, assistiamo all’impatto di Chicxulub, l’asteroide che 65 milioni di anni fa causò l’estinzione dei dinosauri, mentre una voce narrante preannuncia la nuova apocalisse. Accadrà di nuovo! Quando? Subito dopo si scatena l’inferno sulle principali città dell’emisfero Nord della Terra. Viene colpita da piccole meteore anche New York City: le Torri Gemelle, perforate dagli impatti multipli, restano miracolosamente in piedi! La storia la conoscete. Ma fu davvero “Deep Impact” sulla Terra quel 30 giugno del 1908, alle 7:17 (ora locale) del mattino, quando una luce accecante come quella di mille soli, improvvisa e fortissima, squarciò il cielo sulle foreste della regione euroasiatica intorno al fiume Podkamennaja Tunguska nella Siberia centrale. Pochi istanti dopo si udì una terribile esplosione e l’antica taiga prese fuoco, bruciando istantaneamente per 2150 chilometri quadrati. Un enorme fungo bianco salì fino a 80 Km di quota, visibile a centinaia di chilometri di distanza dal “ground zero”. Un piccolo corpo cosmico era esploso a 8 Km dal suolo. L’evento, molto simile a una detonazione termonucleare di energia equivalente ai 10 megatoni (ossia 1000 volte più potente della bomba nucleare sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945) fu registrato dai sismografi britannici. L’onda d’urto fece due volte il giro della Terra prima di estinguersi. Il rumore dell’esplosione fu udito a mille chilometri di distanza. A 500 Km alcuni testimoni affermarono di avere udito un sordo scoppio e di avere visto sollevarsi una nube di fumo all’orizzonte. A 65 Km il testimone Semen Semenov raccontò di aver visto il cielo spaccarsi in due, un grande fuoco coprire la foresta, udì un fragoroso boato e si sentì sollevare e spostare fino a qualche metro di distanza. Non si sa se l’esplosione abbia provocato vittime tra i Tungus, un gruppo di nomadi Evenki che popolava la regione. Certamente in pochi istanti morirono moltissimi animali e 60 milioni di alberi furono abbattuti come fuscelli. L’onda d’urto fece quasi deragliare alcuni convogli della Ferrovia Transiberiana a 600 km dal punto di impatto. Il corpo cosmico misurava 30/50 metri di diametro, una sciocchezza paragonato ai grandi asteroidi e comete che incrociano il Sistema Solare, avvicinandosi all’orbita della Terra. Si calcola che eventi di questo tipo possano accadere una volta ogni 600 anni. Le ricerche pionestiche dell’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna (ISMAR-CNR) e del Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna, hanno prodotto in questi anni nuove prove che avvicinano la soluzione del Mistero di Tunguska e che sembrano confermare come il 30 giugno 1908 si sia verificato il maggiore impatto storicamente accertato tra il nostro pianeta e un corpo celeste extraterrestre. Gli effetti di Tunguska si percepirono a Londra dove, pur essendo mezzanotte, il cielo rimase chiaro e illuminato da poter leggere un giornale senza l’ausilio della luce artificiale. L’ipotesi più accreditata come causa del fenomeno è l’esplosione di un asteroide sassoso che si muoveva ad una velocità di almeno 15 chilometri al secondo (54000 Km/h). Secondo gli scienziati l’angolo di impatto e la resistenza offerta dall’atmosfera possono aver frantumato l’asteroide, favorendo la conversione dell’energia cinetica in energia termica. La conseguente vaporizzazione dell’oggetto avrebbe causato la formidabile onda d’urto che colpì il suolo. Alcuni scienziati escludono che l’asteroide fosse di natura ferrosa o carbonacea. Nel primo caso, il corpo celeste avrebbe raggiunto il suolo senza frantumarsi, nel secondo caso, la deflagrazione sarebbe avvenuta troppo in quota nell’atmosfera per devastare una zona così ampia di taiga. Per ragioni analoghe e per considerazioni sulla densità, gli studiosi ritengono improbabile che l’evento di Tunguska sia stato generato da una cometa. Simulazioni più recenti hanno confermato la probabile vaporizzazione dell’asteroide avvenuta 5-10 Km sopra Tunguska. Il mineralologo russo Leonid Alekseevič Kulik credette di identificare il luogo dell’impatto in una foresta abbattuta presso il bacino del fiume Podkamennaja Tunguska. Tra il 1927 e il 1939 Kulik organizzò quattro spedizioni, ma non fu mai trovato il cratere o altre evidenze dell’impatto. Per iniziativa di Kulik, e sotto la sua direzione, fu realizzata nel 1938 la prima ripresa aerofotografica della zona colpita dalla catastrofe. L’opinione, ora comprovata, è che si sia trattato dell’unico evento in epoca storica e per questo motivo fare luce sul disastro di Tunguska contribuisce in maniera decisiva alla comprensione degli effetti di un impatto asteroidale o cometario con la Terra, ipotesi tutt’altro che remota e sicuramente non infrequente nella storia del nostro pianeta. Le stesse foto della foresta abbattuta, fatte da Kulik nel 1927 e 1928, non sono prove convincenti: vi si vedono tronchi abbattuti in perfetto stato di conservazione dopo 20 anni dall’evento, mentre gli unici alberi ancora in vita sono giovani alberelli che possono avere al massimo pochi anni di vita. L’aspetto è quello di una normale foresta appena abbattuta dai boscaioli. La foresta fotografata da Kulik probabilmente fu abbattuta dagli abitanti del luogo, gli Evenki, per il pascolo delle loro renne, per costruire le loro caratteristiche capanne coniche fatte di tronchi e procurarsi legna da ardere. Tra le altre evidenze, i crateri si dimostrarono essere una formazione naturale del luogo dovuta al disgelo (più o meno come il famoso Sirente Crater in Abruzzo) e un grosso masso identificato con il meteorite fu riconosciuto come un masso morenico.
Kulik e i suoi collaboratori non rinunciarono mai all’affermazione di aver trovato il luogo esatto, forse per non mettere a rischio la loro reputazione di scienziati. Nonostante la mancanza assoluta di prove oggettive che identificassero quel luogo come l’origine dell’evento di Tunguska, sono state organizzate numerose spedizioni scientifiche fin dal 1950. Grazie ad analisi chimico-fisiche è stata rilevata la presenza di polveri con elementi rari come il nichel e l’iridio che si possono trovare in zone vulcaniche, in formazioni geologiche antiche e nelle meteore. Ancora oggi si possono osservare nella taiga siberiana di Tunguska vecchi tronchi d’albero abbattuti e sradicati. Dal 1991 il Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna ha intrapreso una serie di spedizioni in Siberia allo scopo di studiare in situ l’evento catastrofico di Tunguska e di raccogliere campioni da analizzare in laboratorio. Le spedizioni che si sono susseguite erano costituite da scienziati di varie discipline, tra le quali geodinamica, le scienze marine, la geofisica, la geochimica, la paleobotanica, provenienti da università italiane e russe. Le ricerche, tuttora in corso, hanno permesso di ricostruire una mappa più dettagliata sull’orientamento centrifugo degli alberi abbattuti ed il riconoscimento di anomalie nei loro anelli di crescita in corrispondenza dell’anno 1908. Le ricerche indicano come localizzazione del cratere d’impatto del meteorite il lago Cheko, situato a circa 8 Km a Nord-Ovest dall’epicentro dell’esplosione. La morfologia del lago e la struttura dei sedimenti suggeriscono che questo sia il sito d’impatto di un meteorite. È stato scoperto, grazie ad un’equipe di scienziati italiani, che analizzando attraverso sonar il fondale di un lago vicino al “ground zero”, esso abbia una forma a cono e possa quindi essere il famigerato cratere tanto cercato. I carotaggi effettuati sul fondale del lago indicano un’anomalia nei depositi sedimentari del terreno databile attorno al 1908, con una percentuale di minerali non coerente con il territorio circostante. La tesi è stata confermata da un piccolo batiscafo immerso nel lago, che ha potuto osservare il fondale ricoperto da un cimitero di alberi distrutti dall’esplosione. In futuro, altri gruppi di studiosi torneranno per recuperare I frammenti dell’asteroide. Il fatto che testimoni oculari dell’evento ricordino il fiume Kimchu, ma nessuno nomini il lago Cheko, sembra confermare l’ipotesi che il lago si sia formato dopo l’evento di Tunguska (http://www-th.bo.infn.it/tunguska/). Per far luce sull’appassionante enigma cosmico, è stato pubblicato sulla rivista scientifica “Terra Nova” il lavoro di un gruppo di ricercatori italiani (Luca Gasperini, Francesca Alvisi, Gianni Biasini, Enrico Bonatti, Giuseppe Longo, Michele Pipan e Romano Serra) che hanno condotto sul luogo una spedizione scientifica e hanno scoperto che il lago Cheko, un piccolo specchio d’acqua di circa 500 metri di diametro, possa essere il cratere causato dall’impatto di un frammento sopravvissuto all’esplosione principale. “Abbiamo effettuato uno studio geofisico e sedimentologico del lago per verificare se la sua formazione potesse essere correlata all’evento, e per rilevare nella sequenza sedimentaria del lago evidenze geofisiche e geochimiche dalle quali trarre informazioni sulla natura dell’oggetto cosmico” – spiega Luca Gasperini. “Varie spedizioni di studiosi avevano già esplorato la zona di Tunguska senza trovare segni d’impatto o frammenti, e formulando ipotesi, anche molto diverse fra loro, per far luce su quello che è ormai considerato a tutti gli effetti un mistero. Il nostro studio sul campo è stato effettuato principalmente utilizzando rilievi di acustica subacquea, con un obiettivo dunque più ambizioso di quello della prima spedizione italiana, avvenuta nel 1991, anch’essa organizzata dal prof. Giuseppe Longo dell’Università di Bologna, e limitata alla ricerca di microparticelle dell’oggetto cosmico nella resina degli alberi”. Durante la spedizione Tunguska99 è stata, infatti, per la prima volta investigata con tecniche molto sofisticate la morfologia del fondo e la natura dei depositi del sottofondo lacustre, e sono stati raccolti campioni di sedimento. Risultanze pubblicate nel bellissimo libro “Tunguska” di Nanni Riccobono (Rizzoli).
“Grazie a tali indagini – rivela lo scienziato – è stato possibile scoprire che la morfologia del lago è diversa da quella dei comuni laghi siberiani di origine termo-carsica: la natura dei sedimenti recuperati dal fondo sono invece compatibili con l’ipotesi dell’impatto, che sarebbe avvenuto in una foresta acquitrinosa con uno strato sottostante di permafrost (suolo permanentemente ghiacciato) spesso oltre 30 metri”. È stato proprio lo scioglimento del permafrost avvenuto subito dopo l’impatto a modellare la forma e le dimensioni attuali del lago, ed a nasconderne la vera natura di cratere da impatto per tutto questo tempo. Questa scoperta contribuirà a svelare il mistero di Tunguska. Il lavoro dei ricercatori italiani ha già causato forti reazioni nella comunità scientifica internazionale, anche commenti su riviste di grande impatto e nella stampa quotidiana su molte testate europee e mondiali. Siamo forse alla vigilia di un nuovo impatto cosmico? Per scoprirlo ben 1.500 Osservatori astronomici sulla Terra scrutano i freddi spazi siderali. Ma per formalizzare la domanda, senza peraltro suscitare inutili allarmismi, è necessario assumere un modello matematico per il cosiddetto Rischio di fondo. Gli scienziati ne usano uno semplice, elaborato dal dott. Chesley ed altri:“Quantifying the risk posed by potential Earth impacts”, che fu presentato al Congresso di Palermo. Secondo questo modello, gli impatti con energie di circa 10 magatoni (il valore stabilito per Tunguska; un megatone è l’energia di 100 Hiroshima; per farsi un’idea della scala di energie in gioco basta considerare che se un corpo di due metri di diametro impatta con la Terra alla velocità di 20 Km/sec., rilascia una energia di un magatone) e superiori, dovrebbero accadere uno ogni 200 anni. Questa frequenza è soggetta a un’incertezza di almeno un fattore 2 (l’errore è di 10 elevato a 2) perché la nostra conoscenza della popolazione di questi piccoli potenziali impattori non è ancora alta. Ma gli astronomi planetari sono interessati solo all’ordine di grandezza e quindi la probabilità totale di un impatto che sviluppi energia superiore ai 10 megatoni, nei prossimi 80 anni, è sicuramente molto più alta. Qualcosa come tre quinti, ossia tre su cinque! Molto ma molto più alta della probabilità che ogni santo giorno offre a ciascuno di noi per morire a causa di un incidente stradale nel corso della propria vita! Se diamo un’occhiata ora alla “Risk Page” di NEODyS, redatta dai ricercatori dell’Università di Pisa, che mostra tutti i casi conosciuti di possibili impatti di asteroidi già scoperti, capiremo meglio la faccenda assai seria. Consideriamo solo i sei casi nella prima metà della lista. Ci si rende subito conto che uno solo di questi casi è responsabile per quasi tutta la probabilità di impatto. L’oggetto 1994WR12, ad esempio, ha un totale, su diversi anni, di una possibilità d’impatto su cinquemila. L’energia che tale impatto svilupperebbe corrisponde a 71 megatoni. La conclusione è che il rischio per oggetti conosciuti corrisponde a 1/2000 del rischio di fondo da oggetti sconosciuti da 10 e più megatoni di energia. Se rifacciamo i calcoli su energie di 71 megatoni, come nel caso di 1994WR12, il risultato in qualche modo sale, e il rischio di fondo per i prossimi 80 anni diventa circa 1 su 12, di cui quello per oggetti già conosciuti è di circa 1 su 400. Secondo i planetologi e i cacciatori di asteroidi e comete killer (ossia a carattere estintivo) per la Terra, il fatto di non conoscere l’esistenza di un corpo cosmico tipo quello di Tunguska, con una significativa possibilità di impatto, non è poi molto positivo. La domanda a questo punto è: perché non sappiamo niente sulla prossima Tunguska? Secondo gli scienziati, ci sono tre fattori che potrebbero contribuire a questo gap nella scoperta di impattori virtuali del tipo di Tunguska: potremmo essere stati incapaci di trovare gli impattori virtuali di asteroidi già scoperti; gli impattori virtuali ci sono, ma relativi a dati che non sono stati resi pubblici, e che quindi il sistema scientifico ufficiale non ha elaborato; gli scienziati stanno scoprendo solo una piccola parte degli asteroidi di queste dimensioni. Naturalmente tutti e tre i fattori sono rilevanti. Ma qual è il più importante?
Affrontiamo il primo fattore. Il software CLOMON era stato progettato per trovare tutti gli impattori virtuali con probabilità di 1 su un milione e oltre. All’inizio delle operazioni di CLOMON, nel novembre 1999, il monitoraggio si limitava a un periodo di 50 anni. Solo recentemente è stato esteso il periodo. Per la verità, nel caso migliore della “Risk Page”(1994WR12) i ricercatori non avevano rilevato nessuna possibilità d’impatto entro il 2050. Il meno improbabile riguarda il 2074. Perciò esso è apparso nella “Risk Page” solo come risultato di un nuovo calcolo, fatto con un software migliore e analizzandolo su di un più esteso periodo di tempo. Ciò non era finora stato fatto negli altri casi per mancanza di risorse umane e di mezzi di calcolo. Comunque, almeno per i molti casi che sono stati ricalcolati sugli 80-100 anni, gli scienziati possono sospettare che un impatto di probabilità significativa potrebbe loro sfuggire? La risposta non è così precisa come la desidereremmo. I ricercatori non hanno mai preteso che il loro sistema di rilevamento degli impatti fosse completo. Si occupano di tutti i casi per i quali dispongono di una teoria dinamica applicabile. Ci sono ragioni per sospettare che, in casi rari, i ritorni interrotti di corpi celesti possono risultare in probabilità di un ordine di grandezza maggiore di quelli relativi agli altri casi trovati per lo stesso oggetto. Il problema è che non possono escludere questi casi rari. Debbono tener conto del fatto che stanno cercando un caso realmente eccezionale. La probabilità di fondo non è in nessun modo distribuita uniformemente tra i molti asteroidi di una data grandezza che viaggiano su orbite vicine alla Terra: essa si concentra su pochi oggetti con orbite peculiari, orbite dalla bassa inclinazione, con perielio (o afelio) di circa una Unità Astronomica, e vicini a risonanze con la Terra. Il secondo punto debole del sistema di monitoraggio adottato era la disponibilità dei dati. NEODyS si occupa solo degli oggetti che sono stati classificati come “Near Earth Asteroids” dal Minor Planet Center. Solo per i NEA “ufficiali” i dati osservativi sono disponibili quotidianamente, spediti dal MPC via e-mail. Per tutti gli altri asteroidi i dati vengono pubblicati solo se le osservazioni sono state fatte per più di una notte. Infatti la lista dei NEA (la definizione formale è che si tratta di asteroidi con il perielio q < 1,3 U.A.) di cui si occupano gli studiosi italiani è alquanto diversa da quella del Minor Placet Center. Il che non significa che una delle due liste sia sbagliata. Se un asteroide è stato osservato solo poche volte, diciamo solo in due notti, l’orbita calcolata è troppo incerta. In altre parole, dire che quel oggetto è un NEA (o NEO) sarebbe come fare un’affermazione probabilistica. Scienziati come il dott. Claudio Bonanno hanno calcolato quanti asteroidi potrebbero essere non solo NEA ma PHA, ossia killer potenziali, se la distanza tra le loro orbite e quella della Terra è inferiore alle 0,005 U.A., senza però essere sulla lista ufficiale del MPC. Il risultato è di diverse migliaia! Ma quello che importa è stimare il numero totale che ci si aspetta, se prendiamo in considerazione la probabilità che ciascun oggetto sia effettivamente un PHA. Il risultato è noto. I nostri astronomi potrebbero, in via di principio, includere questi PHA virtuali nel loro sistema di monitoraggio, ma esso non offrirebbe loro informazioni attendibili.
Infatti se un asteroide non è un NEA per il MPC, i dati osservativi sui cui i nostri scienziati baserebbero le loro predizioni di possibili impatti, potrebbero essere incompleti. E finirebbero per sollevare allarmi su un asteroide che magari nel frattempo è già stato nuovamente osservato. Poi ci sarebbero altri PHA virtuali, nascosti tra quelli riguardanti oggetti osservati una sola volta, che non vengono mai pubblicati dal MPC. Gli scienziati, infine, analizzano la possibilità che l’oggetto che provocherà la prossima Tunguska non sia ancora stato scoperto. Il dott. Alan Harris (Jet Propulsion Laboratory, California, USA) aveva pubblicato nella raccolta degli interventi al convegno su Tunguska del 1996 (Planetary and Space Sciences, vol. 46, 1998, pag. 283-290), un’analisi dettagliata del livello di completezza ottenibile come funzione della magnitudine raggiungibile e della durata della ricerca, oltre che alla taglia dell’asteroide. Il dott. Harris affermò che questi calcoli dovrebbero essere leggermente rivisti: sono il risultato di un’analisi teorica che andrebbe rifinita tenendo conto dell’esperienza accumulata da quando l’articolo è stato scritto (specialmente dall’esperienza dei Progetti LINEAR, LONEOS e Catalina). Secondo il modello di Harris, perfino un’ ipotetica sorveglianza di Spaceguard che controllasse tutto il cielo buio per magnitudini fino alla 22, potrebbe rilevare circa il 20% di tutti i NEA sui 100 metri, in 10 anni. Fino a qualche tempo fa il livello di completezza raggiungibile per magnitudine di circa 19, era inferiore a uno ogni 1000 in dieci anni. Dal momento che i principali centri di ricerca dei NEO sono operativi da pochi anni (fra cui la Stazione astronomica di Campo Imperatore sul Gran Sasso), forse il fatto di trovare solo probabilità nell’ordine di 1 su 5000 per gli oggetti conosciuti, di contro a una probabilità d’impatto calcolata per l’intera popolazione di quella classe di oggetti vicina al 100% nel XXI Secolo, è esattamente il risultato che gli scienziati dovevano aspettarsi. La conclusione è che noi non conosciamo il prossimo oggetto impattore (asteroide o cometa) tipo Tunguska, perché semplicemente non lo stiamo cercando. I gap nel nostro sistema di monitoraggio degli oggetti e di diffusione delle informazioni, per quanto gravi, non costituiscono il fattore decisivo. Poniamoci allora la domanda inversa: cosa dovremmo fare se il nostro obiettivo fosse trovare il prossimo impattore della classe di Tunguska prima che ci colpisca? Il dott. Harris se lo chiese nel suo articolo del 1998. Per scoprire il prossimo Tunguska, diciamo con il 90% delle possibilità, dovremmo avere una ricerca completa del cielo per la magnitudine 21, inquinamento luminoso permettendo. Naturalmente, “tale operazione dovrebbe andare avanti per qualche secolo prima di raggiungere l’obiettivo” – secondo il dott. Harris. Il che solleva delicate questioni etiche relative alla motivazione necessaria (pubblica, privata, scientifica e di protezione civile) per una ricerca così sofisticata e costosa, quando l’obiettivo quasi certamente non può essere raggiunto nel corso della vita di coloro che darebbero il via al progetto e, naturalmente, dei Lettori e dei loro nipoti. L’asteroide Apophis ci passerà molto vicino ma i calcoli, sempre più raffinati, indicano un rischio d’impatto quasi nullo.
Mai dire mai, soprattutto se, da bravi scienziati e giornalisti, abbiamo a cuore la vita dei nostri discendenti sul pianeta Terra. Un Evento Estintivo di Massa da impatto cosmico su scala planetaria (EVE), d’altra parte, prima o poi potrebbe essere inevitabile (ossia rivelato all’ultimo momento!) ed allora ben poco potremmo fare, in pochi mesi, settimane o giorni, per salvare le nostre vite. Le “Arche dei Migliori”(speriamo non dei soliti raccomandati politici!) del kolossal “2012” non ci salverebbero, liquefatte dalle eccezionali temperature. Le “Città sotterranee” del kolossal “Deep Impact”, per i pochi fortunati vincitori della Lottera Nazionale, verrebbero sommerse. Incrociamo le dita e che Dio ci protegga!
Nicola Facciolini
Fonte: http://www.improntalaquila.org
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