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Thursday, May 17, 2012

William T. Vollmann, “Zona proibita”: viaggio nell’inferno del Giappone dopo il terremoto


Zona proibita, particolare della copertina

Zona proibita, particolare della copertina

Un paio di mesi fa il Giappone è tornato in prima pagina per un nuovo terremoto al largo delle coste di Hokkaido. Tanta paura ma pochi danni, e niente tsunami. Così è ripiombato in breve nella sua silenziosa distanza, perfino l’anniversario dell’epocale tragedia è passato in sordina in un Occidente alle prese con le sue crisi. Per riallacciare i fili con Fukushima arriva il racconto di un coraggioso veterano del giornalismo d’inchiesta, l’americano William T. Vollmann, partito per il Sol Levante pochi mesi dopo quel tragico 11 marzo 2011. Il suo reportage, pubblicato originariamente sulla piattaforma digitale Byliner con il titolo Into the Forbidden Zone, è tradotto da Mondadori nella collana Libellule: Zona proibita.

“Una storia di cose che quasi non riusciamo a credere, tantomeno a comprendere”. Giappone, che enigma. L’atteggiamento sfuggente dei responsabili governativi e dei tecnici della Tepco dopo il disastro, le domande senza risposta, la stoica, composta rassegnazione dei sopravvissuti trasformatasi presto in collera e al senso di colpa. Vollmann, che ha familiarità con la storia e la cultura giapponese e la determinazione di un kamikaze (sua l’autobiografia Afghanistan Picture Show), si arma di un piccolo dosimetro per misurare le radiazioni e con un abbigliamento a dir poco di fortuna, parte per Tokyo con l’intento di arrivare a Fukushima, la zona proibita appunto.

Dopo una tappa a Sendai, con interprete e tassista Vollmann entra nel perimetro del disastro, il primo raggio dal quale gli abitanti sono stati consigliati di evacuare. Cosa cerca? Di penetrare oltre il luogo comune dell’altra parte del mondo, bloccato sul fermo immagine di enormi distese di fango e vie di discariche appena create, città fantasma, luride cataste di relitti, fosse di cadaveri e un cubo inavvicinabile il cui nocciolo radioattivo pulsa impazzito per il troppo calore.

Con circospezione, prudenza e rispetto, il giornalista interroga le persone a cui lo tsunami ha cambiato la vita, tenendo in serbo per il finale la domanda più scomoda: “In quanto cittadino del paese che ha lanciato le bombe atomiche sul Giappone, mi domando come sia stato possibile che ciò accadesse di nuovo. La prima volta siete stati nostre vittime, e ora, a quanto pare, siete vittime di voi stessi”. Nessuno raccoglie la provocazione. I racconti dei sopravvissuti, i loro gesti, i volti e i rituali intatti perfino tra le pareti anguste di un edificio senza luce, investono come un’onda di umana pietas il giornalista-avvoltoio, che ritrae gli artigli e rinuncia al proposito di raggiungere la centrale.

Il libro acquista un imprevisto spessore narrativo. Le tracce dell’apocalisse sono ubiquitarie ma Vollmann ci pone di fronte al mistero di una natura che – pur ferita umiliata depredata distrutta – risponde con i boccioli dei fiori di pesco, come sempre. Con lo scorrere di un ruscelletto nel bosco, con la risacca di un mare pacificato. Invece di violare Fukushima Vollmann preferisce allora visitare Hiroshima e il suo memoriale, giungendo a una riflessione sulla fatalità, lo scorrere del tempo, il testimone delle tragedie passato senza sosta da una generazione all’altra.

L’”assurdo” grado di fiducia che i cittadini giapponesi storicamente riponevano nelle autorità si è incrinato forse per sempre. Per la prima volta le massicce mobilitazioni antinucleari sono sfociate in un movimento di protesta che in alcune zone ha ricordato addirittura la val di Susa. Il governo centrale però sembra troppo invischiato con la lobby nuclearista per dare ascolto alla maggioranza della popolazione, e proprio di recente ha dato l’ok alla riapertura dei reattori dopo un lungo periodo di chiusura coinciso con severissimi controlli.

Ma tutto questo dopo. In quel marzo 2011, nel silenzio irreale della fine, il senso della sopravvivenza era nell’eco delle parole del Buddha: “Al mondo nulla è permanente e duraturo; tutto è mutevole, effimero e imprevedibile. Ma la gente è ignorante ed egoista, e si cura soltanto dei desideri e delle sofferenze dell’attimo presente".

Fonte: http://blog.panorama.it

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