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Sunday, May 4, 2014

Sebastian Mez: 'Il mio film sulla catastrofe'


E' 'Metamorphosen' del giovanissimo tedesco Sebastian Mez ad aggiudicarsi il premio come migliore pellicola alla 62a edizione del trento Film Festival. Un crudo reportage su un disastro nucleare tenuto nascosto per 30 anni





Si chiama Sebastian Mez, ha 23 anni ed è tedesco. È stato lui a firmare la pellicola che ha vinto la 62a edizione del Trento Film Festival: Metamorphosen. Un pugno nello stomaco, che non ha lasciato indifferenti né i giurati né il pubblico: la storia (vera) di un paese degli Urali, Musljumowo, in cui nel 1957 si è verificata una catastrofe nucleare. Una tragedia sconosciuta, tenuta segreta per 30 anni dal governo russo. E un villaggio trasformato in un raccapricciante laboratorio destinato a studiare le conseguenze delle radiazioni sull'organismo umano.

Nessun allarme, nessuna evacuazione. Ci si è limitati a spostare le case due chilometri più distante dal fiume Tetscha, che rappresenta la principale fonte di radioattività (ora il paese è il “nuovo” Musljumowo). Terre desolate e bellissime dove il contatore geiger impazzisce. Dove la gente continua a condurre la solita vita come se... Dove ogni tanto arrivano troupe straniere a fare foto, e dove un giorno sono approdati anche alcuni scienziati giapponesi. “Non dovete avere paura delle guerre nucleari – hanno detto agli abitanti -. Perchè qui voi avete assorbito radiazioni in quantità ben maggiore rispetto a Hiroshima e Nagasaki”.
Un reportage fatto di poche parole e tante immagini, tutto in bianco e nero. Volti, storie, rassegnazione, la cocciuta convinzione che forse prima o poi tutto tornerà come prima. Ma cosa c'entrano le montagne con questo film? “Le montagne ci sono anche qui, se si osserva bene”, ha detto il giovanissimo regista. Forse non quelle geografiche, che stanno parecchio più in là. Ma sicuramente quelle simboliche che nascondono alla vista l'orrore di quel villaggio di sepolti vivi. Un posto dove nessuno vuole andare. Un posto popolato da gente con cui nessuno vuole avere a che fare, per paura del contagio.

“Nessuno ha parlato di questo disastro. Eppure si tratta del terzo più grave incidente nucleare mai accaduto al mondo, dopo Chernobyl e Fukushima”, ha raccontato Sebastian Mez, che ha deciso di girare proprio lì il film con cui si è diplomato alla scuola di cinematografia. “Non capivo la lingua russa, e avevo un budget molto limitato: i 5.000 euro che mi ha dato la scuola per realizzare l'opera con cui diplomarmi. Ma non mi hanno nemmeno messo a disposizione le apparecchiature: perchè avevano paura della contaminazione. Così ho dovuto acquistare a poco prezzo una macchina da presa. E ho chiesto a un'amica russa di accompagnarmi per fare da interprete”.Sono partiti con un visto turistico di quattro settimane, per non dare nell'occhio. E quando sono arrivati a... non hanno indossato – come gli altri visitatori – indumenti protettivi e maschere. Hanno voluto vivere a contatto della gente, fare la loro vita. E così ne hanno conquistato la fiducia. Hanno ascoltato le loro storie. Hanno filmato i loro visi.

Sebastian aveva 20 anni, quell'inverno in cui partì per gli Urali. Era il 2011. La sua pellicola è stata proiettata anche in Russia, e ora ha vinto la Genziana d'Oro al 62° Trento Film Festival. “Non sono più riuscito a tornare lì, per mostrare alla gente che cosa ho fatto”, ha detto il giovane regista. “Forse riuscirò a farlo ora, con i soldi del premio”.

A un polacco, Bartek Swiderski, è andata invece la genziana per il miglior film d'alpinismo: Sati, che ricostruisce la storia dell'alpinista Piotr Morawski attraverso la sofferenza e il lutto della sua vedova, Olga. È lei nel film a parlare e a lasciarsi riprendere dalla cinepresa che ci regala impressionanti primi piani del suo volto. "Ho voluto non tanto glorificare il personaggio dell'alpinista, quanto raccontare la storia delle persone che soffrono a causa delle scelte degli altri", ha detto Swiderski.

Miglior film d'esplorazione o d'avventura è stato invece designato Love on a bike degli inglesi James Newton e Tom Allen. Un delizioso racconto che va ben oltre la descrizione di un improvvisato viaggio in bicicletta. Ma rappresenta l'impresa di un uomo alla ricerca di se stesso, e alle prese con i grandi dilemmi della vita.



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E' 'Metamorphosen' del giovanissimo tedesco Sebastian Mez ad aggiudicarsi il premio come migliore pellicola alla 62a edizione del trento Film Festival. Un crudo reportage su un disastro nucleare tenuto nascosto per 30 anni.

Si chiama Sebastian Mez, ha 23 anni ed è tedesco. È stato lui a firmare la pellicola che ha vinto la 62a edizione del Trento Film Festival: Metamorphosen. Un pugno nello stomaco, che non ha lasciato indifferenti né i giurati né il pubblico: la storia (vera) di un paese degli Urali, Musljumowo, in cui nel 1957 si è verificata una catastrofe nucleare. Una tragedia sconosciuta, tenuta segreta per 30 anni dal governo russo. E un villaggio trasformato in un raccapricciante laboratorio destinato a studiare le conseguenze delle radiazioni sull'organismo umano. 
 
Nessun allarme, nessuna evacuazione. Ci si è limitati a spostare le case due chilometri più distante dal fiume Tetscha, che rappresenta la principale fonte di radioattività (ora il paese è il “nuovo” Musljumowo). Terre desolate e bellissime dove il contatore geiger impazzisce. Dove la gente continua a condurre la solita vita come se... Dove ogni tanto arrivano troupe straniere a fare foto, e dove un giorno sono approdati anche alcuni scienziati giapponesi. “Non dovete avere paura delle guerre nucleari – hanno detto agli abitanti -. Perchè qui voi avete assorbito radiazioni in quantità ben maggiore rispetto a Hiroshima e Nagasaki”.
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