Lo strumento SAM a bordo di Curiosity. Crediti: NASA-GSFC |
Il colpevole si chiama SAM. L’avevano spedito su Marte a caccia di tracce di vita passata. Fino a oggi il bottino è stato un po’ deludente. Ma ora s’accorgono che, se anche ne avesse trovate, non è detto che se ne sarebbe reso conto. Peggio ancora, un po’ come il cercatore di funghi inesperto che schiaccia inavvertitamente il porcino con lo scarpone, complice un minerale di nome jarosite quelle tracce potrebbe addirittura averle distrutte.
Lui, SAM, è il Sample Analysis at Mars: il più grande fra gli strumenti a bordo del rover Curiosity della NASA. Per ricostruire cos’è accaduto, occorre anzitutto sapere come fa, il sofisticato laboratorio chimico su ruote, a studiare i campioni che raccoglie e a identificare le sostanze che contengono. In breve, li surriscalda. Quando raggiungono temperature attorno ai mille gradi, i campioni liberano gas che possono essere analizzati in situ con la gascromatografia e spettrometria di massa, tecniche ampiamente collaudate in grado di riconoscere le molecole presenti nel gas e, in particolare, di accorgersi se fra queste sono presenti anche dei composti organici.
Ed è qui che entra in gioco lei, la dannata jarosite, un minerale della famiglia dei solfati ferrici. Qui sulla Terra i minerali come la jarosite s’incontrano perlopiù in ambienti ostili, tipicamente nelle acque acide che fuoriescono da rocce ricche di zolfo. Ambienti ostili per noi, ma ideali per alcuni batteri che si nutrono degli ioni disciolti in quelle acque sulfuree. Proprio questa caratteristica rende la jarosite una testimone preziosa per gli scienziati in cerca di tracce di vita extraterrestre: là dove s’incontra jarosite, dicono, un tempo ci doveva essere acqua acida, acqua che avrebbe potuto offrire un ambiente favorevole per ospitare antiche forme di vita microbica.
Ebbene, su Marte la jarosite non manca. Per certi versi ce n’è pure troppa, come ha scoperto a sue spese uno dei predecessori di Curiosity, il piccolo robottino Spirit, che nel maggio del 2009 rimase insabbiato proprio in un fazzoletto di morbida polvere di solfato ferrico. Una polvere con una tenuta talmente bassa che le ruote non sono mai più riuscite a tirarne fuori il rover.
Insomma, che la jarosite potesse essere una brutta bestia già lo si era sperimentato. Quello che invece non si era messo in conto è che, quando viene riscaldata da SAM, libera anidride solforosa e ossigeno. E l’ossigeno, scrivono ora i ricercatori dell’Imperial College di Londra su Astrobiology, distrugge eventuali composti organici presenti nel campione senza lasciare traccia.
Un “delitto perfetto” che potrebbe chiarire uno tra i più scoraggianti fra i rompicapi marziani. «Le proprietà distruttive di alcuni solfati di ferro, così come del perclorato, nei confronti dei composti organici possono spiegare perché le missioni attuali e passate non sono fino a ora riuscite a fornire una prova conclusiva della presenza di materia organica sul suolo di Marte», osserva infatti Mark Sephton, uno degli autori dello studio. «E questo nonostante il fatto che gli scienziati sappiano, da studi precedenti, che composti organici sono stati depositati su Marte lungo l’intero corso della sua storia: da comete, meteoriti e polvere interplanetaria».
Fortunatamente non tutto è perduto. Una traccia, infatti, potrebbe rimanere, suggerisce l’articolo: se i sensori di SAM, durante l’analisi d’un campione contenente jarosite, dovessero rilevare un picco anomalo nel livello dell’anidride carbonica, questo potrebbe significare che un processo di distruzione di composti organici è in atto. Una indicazione indiretta di cui tenere conto sia per le prossime misure di Curiosity sia per i futuri cacciatori di vita marziana, primo fra tutti ExoMars.
Marco Malaspina
Fonte
Per saperne di più:
- Leggi su Astrobiology l’articolo “Sulfate Minerals: A Problem for the Detection of Organic Compounds on Mars?”, di Lewis James M.T., Watson Jonathan S., Najorka Jens, Luong Duy e Sephton Mark
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