L’incidente di Goldsboro del gennaio 1961, quando tutti i sistemi di sicurezza di una bomba H non funzionarono - tranne uno
La mattina del 20 gennaio 1961, un venerdì, John Fitzgerald Kennedy
fece tappa alla chiesa cattolica della Santa Trinità di Georgetown e poi
raggiunse il presidente uscente, il repubblicano Dwight Eisenhower.
Andarono insieme al Campidoglio per la cerimonia di giuramento, l’inizio
ufficiale del mandato dell’ex senatore del Massachusetts come
trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti.
«Oggi non osserviamo la vittoria di un partito – cominciò – ma la
celebrazione della libertà; è simbolicamente una fine, così come un
principio; un rinnovamento, così come un cambiamento». A fianco di Dio,
citò poi i padri fondatori; ma subito dopo, il nuovo presidente dovette
pagare il suo tributo al clima della Guerra fredda.
«Il mondo è molto diverso, oggi. Perché l’uomo tiene nelle sue mani
il potere per abolire tutte le forme della povertà umana, e tutte le
forme della vita umana». Annunciando che, con la sua elezione, «la
torcia era passata a una nuova generazione di americani», volle
sottolineare che quella nuova generazione sarebbe stata pronta a
difendere, con ogni mezzo, «i diritti umani a cui questa nazione si è
sempre dedicata» – e a fianco di essi la potenza americana nel mondo.
«Lasciate che ogni nazione sappia, che ci voglia bene o meno, che pagheremo ogni prezzo,
sopporteremo ogni peso, affronteremo ogni difficoltà, sosterremo ogni
amico, ci opporremo a ogni nemico per assicurare la sicurezza e il
successo della libertà».
Tre giorni più tardi, lunedì 23 gennaio 1961, un bombardiere B-52
dell’Air Force statunitense partì da una base vicino a Goldsboro, in
North Carolina, per un turno di airborne alert: il piano di
pattugliamenti in volo, da parte di bombardieri che trasportavano
testate nucleari, dei confini del blocco occidentale. Il suo piano di
volo prevedeva un lungo percorso circolare lungo la costa orientale
degli Stati Uniti.
Dopo oltre dieci ore dal decollo, intorno a mezzanotte, l’aereo si
avvicinò ad un’aerocisterna per il secondo rifornimento in volo.
L’equipaggio dell’aerocisterna notò che dall’ala destra del B-52 usciva
carburante. In circa due minuti il bombardiere ne perse decine di
migliaia di litri: dalla base a terra dissero al pilota, Walter S.
Tulloch, di scaricare nell’oceano il resto e di prepararsi ad un
atterraggio di emergenza.
Le cose cominciarono ad andare storte quando non si riuscì a
scaricare il carburante dall’ala sinistra. Lo squilibrio nella
distribuzione del peso fece perdere al pilota il controllo dell’aereo e,
vista l’emergenza, Tulloch diede l’ordine all’equipaggio di
abbandonarlo. Quattro persone, oltre a Tulloch, riuscirono a farlo e a
sopravvivere; altre tre morirono nello schianto.
Il B-52 trasportava due bombe all’idrogeno del tipo Mark 39,
ciascuna con una potenza di 4 megatoni: duecentocinquanta volte quella
della bomba che esplose a Hiroshima e più della potenza totale di tutti
gli esplosivi – incluse le due bombe nucleari – usati durante la Seconda
guerra mondiale. Rispetto a pochi anni prima, la tecnologia si era
evoluta e non erano più necessari complessi meccanismi per l’inserimento
del nocciolo radioattivo dentro la bomba. Nella Mark 39, il quel
materiale era sigillato all’interno della bomba, pronto ad essere
utilizzato.
Durante la caduta incontrollata dell’aereo, una delle Mark 39 cadde
dal suo alloggiamento. I fili che servivano ad armarla furono strappati
via e la bomba si comportò come se fosse stata sganciata su un
bersaglio, avviando il complesso meccanismo portava alla detonazione. I
generatori di impulso attivarono le batterie termiche a basso voltaggio.
I due paracaduti – prima il parafreno e poi quello principale – si
aprirono per rallentare la caduta. Gli interruttori barometrici si
chiusero e il timer finì la sua corsa, attivando le batterie termiche ad
alto voltaggio.
La bomba colpì il suolo in un campo vicino a Faro, North Carolina. I cristalli piezoelettrici sulla punta vennero schiacciati, inviando il segnale di detonazione.
Ma
la bomba non esplose. Dopo qualche ora, il personale dell’Air Force la
trovò incastrata nel terreno, in posizione perfettamente verticale, con
il paracadute incastrato nei rami di un albero. L’altra bomba a bordo
del B-52 si schiantò al suolo in caduta libera, distruggendosi senza
esplodere.
L’«incidente di Goldsboro» è solo uno della lunga serie di episodi – come quello di Palomares o di Mars Bluff
– che coinvolsero le bombe atomiche dell’arsenale statunitense. A poco a
poco, la declassificazione dei documenti riservati del Pentagono, e il
lavoro di alcuni storici e giornalisti, fa emergere un quadro inquietante fatto di contaminazioni accidentali, sviste grossolane e sfortunate, pericolosissime coincidenze riguardo al programma nucleare statunitense.
L’incidente di Goldsboro è stato ricostruito per la prima volta solo nel 2013, dal libro di Erich Schlosser Command and Control,
ed è stato ripreso dalla stampa anglofona alla fine di quell’anno. Nei
prossimi anni è molto facile che emergano altri episodi simili, ed è più
che plausibile pensare che molti di questi rimarranno a lungo
sconosciuti, vista la maggior difficoltà di accesso ai documenti di
archivio dell’Unione Sovietica, l’altra superpotenza nucleare del
secondo dopoguerra – e dove non è difficile immaginare che episodi
simili fossero almeno altrettanto diffusi.
Questo non significa che l’incidente non fosse da tempo conosciuto a
un ristretto numero di persone: nel 2010, un video del Sandia National
Laboratories – l’ente americano che si occupa della sicurezza
dell’arsenale nucleare – ricostruì in un video (ripreso dal Guardian in
seguito alle ricerche di Schlosser, nel settembre del 2013) l’incidente
di Goldsboro come materiale informativo ad uso dei suoi dipendenti. Rimane una domanda: perché la bomba non esplose? Al
momento del lancio accidentale e durante la caduta, tutti i sistemi di
sicurezza della Mark 39 per evitare un’esplosione accidentale non
avevano funzionato – tranne uno.
Un interruttore nella cabina di pilotaggio del bombardiere, al
momento del disastro, era sulla posizione “SAFE”, invece di “GROUND” o
“AIR”: per questo la cosiddetta X-Unit, l’unità che gestisce i
detonatori della bomba, non era carica e il North Carolina non era stato
devastato da un’esplosione nucleare.
Ma i tecnici del programma nucleare che ricostruirono l’incidente
nelle settimane successive dovettero presto fare una considerazione
molto inquietante. L’unico sistema di sicurezza ad aver fatto il suo
lavoro era tutt’altro che affidabile: negli anni precedenti, una trentina di incidenti avevano riguardato proprio l’interruttore
con le tre posizioni Safe/Ground/Air che, nonostante fosse installato
in tutti i bombardieri del Comando Aereo Strategico, aveva il brutto
difetto di operare solo con un breve segnale a basso voltaggio.
Era facile che quel segnale fosse generato in un cortocircuito o in
un problema all’impianto elettrico, assai probabile in un B-52
gravemente danneggiato che precipita da migliaia di metri di altezza.
Mesi dopo, nel 1963, il segretario della Difesa americano Robert
McNamara disse ad alcuni ufficiali del Pentagono che in North Carolina,
«grazie a un margine sottilissimo di probabilità, letteralmente il fatto
che due fili non si sono incrociati, abbiamo evitato un’esplosione
nucleare». La notizia del disastro sfiorato lo aveva raggiunto al suo
quarto giorno in carica, mentre ancora si stava abituando all’idea di
essere a capo del sistema militare di una delle due superpotenze
mondiali – solo cinque settimane prima, era il presidente della Ford
fresco di nomina. Fu un avvertimento di quanto il suo lavoro sarebbe
stato difficile.
I diritti umani nel mondo e la potenza americana dovevano essere
difesi pagando «ogni prezzo», aveva detto Kennedy al momento di
insediarsi. L’incidente di Goldsboro dovette dare l’idea a McNamara di
quanto quel prezzo potesse essere alto.
Giovanni Zagni
Fonte
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