I due sottomarini sono solo una parte di una enorme discarica radioattiva nel mare di Kara la cui presenza è stata ammessa solo nel 2011 dalle autorità russe dopo una campagna di denuncia di Bellona. La Russia ha fornito un inventario della spazzatura radioattiva scaricata per decenni in quell’are, che comprende 17.000 contenitori di rifiuti radioattivi, 19 navi contenenti rifiuti radioattivi, 14 reattori nucleari, di cui 5 che ancora contengono il combustibile nucleare esaurito, e 735 altri pezzi di macchinari pesanti contaminati dalla radioattività.
Il K-159 è affondato nell’agosto 2003 durante una tempesta, mentre una nave lo stava rimorchiando verso il cantiere Polyarny dove doveva essere smantellato. Il sottomarino arrugginito era tenuto a galla da grosse boe altrettanto corrose, una delle quali e stata strappata via dalle onde e il sottomarino è affondato fino a 200 metri di profondità. Nell’incidente morirono 9 marinai.
I media norvegesi riferiscono però che l’Istituto norvegese di ricerca marina tranquillizza ed Hilde Elise Heidal, una scienziata che nel 2014 ha partecipato ad un’ispezione congiunta sul sotomarino affndato, ha detto al Barents Observer, «In uno studio che calcola gli effetti di vari scenari di contaminazione, abbiamo dimostrato che, anche con l’inquinamento più drammatico, i livelli di cesio-137 nel pesce saranno sotto i limiti fissati dall’Autorità norvegese per la sicurezza alimentare». Heidel però sottolinea che «Un rilascio di tutto il cesio del sottomarino non passerebbe senza conseguenze negative». Uno studio del 2013 citato dal Barents Observer ha dimostrato che in due anni le concentrazioni di cesio 137 nei merluzzi aumenterebbero di 100 volte rispetto ai livelli misurati oggi. «Ma anche così – dice la ricercatrice norvegese – l’aumento dei livelli sarebbe comunque sotto i limiti fissati dalle autorità di sicurezza alimentare».
Ma Bellona sottolinea che l’altro sottomarino, il K-27, rimane una fonte di preoccupazione: «Il K-27 è stato intenzionalmente affondato nel 1981 dalla Marina sovietica a 30 metri di profondità al largo delle coste della Novaja Zemlja. I suoi reattori liquid metal cooled sono stati sigillati con una miscela di furfurilico e bitume per isolare i 90 chilogrammi di uranio altamente arricchito da intrusioni di acqua».
Kobrinsky ha detto che le “protezioni” non funzionano come previsto e che «Studi dell’Istituto Kurchatov hanno dimostrato che si pone il pericolo di una reazione a catena incontrollata nel reattore. Da uno studio abbiamo fatto indica che soltanto 5 o 6 litri di acqua di mare nel nocciolo del reattore sono sufficienti per innescare una reazione a catena incontrollata. I materiali isolanti utilizzati nel compartimento del reattore non isolano tanto quanto pensavamo». Una reazione a catena incontrollata ad una profondità così bassa comporta il pericolo di un rilascio della radioattività in atmosfera, da dove si diffonde più velocemente e su distanze maggiori di quanto non faccia in acqua.
Nel 2102 una spedizione congiunta russa norvegese ha accertato che sarebbe possibile recuperare il relitto del K-27 e portarlo a terra, ma che la stessa cosa non potrebbe essere fatta con il K-159, il cui scafo era in pessime condizioni quando è affondato nel Mare di Barents.
Il direttore esecutivo di Bellona e fisico nucleare Nils Böhmer, ha sollecitato i russi a recuperare entrambi i sottomarini nucleari ed ha evidenziato che «Le conclusioni di Kobrinsky riguardo una possibile reazione a catena a bordo del K-27 sono molto preoccupanti» poi ha sollecitato Norvegia e Russia a continuare a tenere sotto controllo i due relitti con ispezioni congiunte ed ha aggiunto che «E’ urgente fare piani di prevenzione e di valutazioni del rischio su come recuperare questi due sottomarini».
Ance secondo Kobrinsky «Le misure per issarli dal fondo dovrebbero essere prese indipendentemente dal costo. Meglio riportarli in superficie on attrezzature costose in fretta che con apparecchiature a basso costo lentamente».
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