Statistiche

Monday, May 23, 2011

Giappone: radiazioni killer


di Sergio Ferraris

Centrale nucleare

Incrementi delle neoplasie, alterazioni del dna, patologie sospette. Gli studi confermano che il nucleare è pericoloso. Anche senza incidente

È il lato forse più oscuro del nucleare. Una realtà che l’industria dell’atomo ha sempre tentato di nascondere, della quale si trovano poche tracce e sempre qualcuno disposto a smentirle. Parliamo del rischio da radiazioni e in particolare di quello derivato dalle emissioni delle centrali nucleari durante il loro normale funzionamento. Una zona grigia, non l’unica per la verità, dell’energia atomica di fronte alla quale gli esperti pro-nuke cercano in genere di cavarsela con una battuta. Basti ricordare, tanto per fare un esempio, quella dell’oncologo Umberto Veronesi, che in veste di presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare ha fatto sapere qualche mese fa che lui sulle scorie nucleare «ci dormirebbe sopra». Ma al di là delle battute gli studi che hanno affrontato il problema sono giunti a una conclusione ben diversa: chi vive accanto a una centrale nucleare, o a un deposito di scorie radioattive, non può certo dormire sonni tranquilli. E gli studi epidemiologici lo dimostrano

Giovani a rischio
«Ciò che pochi nuclearisti ammettono è il fatto che ogni centrale nucleare emette radiazioni durante tutto il periodo d’esercizio – spiega Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente – E anche quando lo dicono, immediatamente dopo ribattono che si tratta di dosi insignificanti, in grado di aumentare tutt’al più di poco il fondo radioattivo naturale». I dati a disposizione però smentiscono i nuclearisti. Il registro tumori della Sassonia in Germania, tanto per cominciare, ha pubblicato i dati raccolti tra il 2002 e il 2009 relativi ai tumori nella zona di Asse, dove sorge il famigerato deposito delle scorie radioattive nel quale sono stati sepolti, tra gli anni ’60 e ’70, ben 126mila fusti di scorie e che è minacciato da forti infiltrazioni d’acqua. Ebbene, dallo studio si evince che i casi di leucemia nella zona sono aumentati del 100% tra gli uomini e del 300% tra le donne. Sempre in Germania è stato pubblicato uno degli studi epidemiologici più completi mai realizzati in materia di nucleare, il Kikk (vedi lo scorso numero della Nuova Ecologia, pag. 20) che riguarda i bambini al di sotto dei cinque anni residenti nei pressi delle diciassette centrali nucleari per un periodo di 23 anni, dal 1980 al 2003. Risultato: più 220% di leucemie, più 160% di tumori embriogenetici e più 70% per altri tumori

Trizio sotto accusa
Un caso isolato? Tutt’altro. Uno studio sulle centrali spagnole di Trillo e José Cabrera (Cancer risk around the nuclear power plants of Trillo and Zorita, uscito nel 2003 su “Occupational and environmental medicine”), che ha coinvolto i pazienti ricoverati nell’ospedale di Guadalajara tra il 1988 e il 1999, ha messo in evidenza che i rischi di contrarre un tumore correlato all’esposizione radiologica ha un incremento lineare in relazione alla distanza di residenza dalla centrale di Trillo, un impianto da 1.000 MWe. Su quella di José Cabrera non sono state trovate occorrenze significative. Ma attenzione: è una centrale di taglia assai minore, vale a dire da 141 MWe. Le radiazioni hanno colpito anche i giovani in Gran Bretagna: secondo un altro studio (Geographical variation in mortality from leukaemia and other cancers in England and Wales in relation to proximity to nuclear installations, sul “British journal of cancer” di marzo 1989) l’incremento della mortalità per leucemia è evidente nella popolazione al di sotto dei 25 anni residente nei pressi delle quindici centrali dell’Inghilterra e del Galles tra il 1969 e il 1978. «Trizio e Carbonio 14 sono tra i principali indiziati circa l’aumento di tumori nei pressi delle centrali poiché sono radionuclidi emessi in basse quantità ma continuativamente, durante tutta la vita della centrale nucleari – afferma Giuseppe Miserotti, presidente dell’ordine dei medici di Piacenza e membro del Comitato scientifico dell’Isde (International society of doctors for the environment) – Questo è uno dei principali indizi che gli epidemiologi tedeschi del Kikk hanno messo in relazione con l’aumento dei casi di leucemia da loro riscontrati». Relazione che sembra ancor più netta nello studio Mangano/Sherman, pubblicato nel 2008, che ha analizzato la mortalità per leucemia nel periodo tra il 1985 e il 2004, nei giovani fino a 19 anni residenti nei pressi di 51 centrali nucleari negli Stati Uniti. La mortalità è aumentata del 13,9% per i giovani residenti nei pressi delle centrali più vecchie, entrate in funzione tra il 1957 e il 1971, e del 9,4% per quelli vicini alle centrali partite tra il 1971 e il 1981. Mentre è diminuita del 5,5% per i ragazzi residenti vicino alle centrali chiuse
Azioni mutagene
Ma come si genera l’inquinamento nucleare? I radionuclidi escono dalle centrali attraverso il vapor d’acqua rendendo radioattiva la CO2 grazie al Carbonio 14, inquinando i terreni e le falde acquifere sotto forma d’acqua triziata. Entrano così nella catena alimentare oppure vengono inalati e si depositano nei tessuti, dove svolgono la loro azioni teratogene e mutagene. «Una parte dei radionuclidi una volta penetrati nei tessuti sono espulsi dal corpo in maniera naturale, per esempio attraverso l’eliminazione dell’acqua in eccesso – aggiunge il professor Miserotti – Altri invece vi rimangono e si tratta di sostanze che hanno un’attività radioattiva assai lun- ga, che può superare i trecento anni». I radionuclidi, quindi, una volta entrati nel corpo rimangono attivi per periodi ben più lunghi della vita stessa e non vale, secondo gli epidemiologi, il concetto di piccola quantità perché si tratta di elementi comunque dannosi per i tessuti: il Dna può essere danneggiato in maniera irreversibile introducendo il rischio di tumori
Dose letale
L’Icrp (International commission on radiological protection ) ha varato da tempo normative tecniche che fissano dei criteri circa la giustificazione e l’accettabilità del rischio. Ha fissato inoltre i concetti di “dose radioattiva” (vale a dire la quantità di radiazioni assorbite da un organismo umano) e di “soglia radioattiva”, al di sopra della quale si manifestano degli effetti direttamente correlati alle radiazioni assorbite. Gli effetti però, man mano che sono aumentate le conoscenze scientifiche, sono diventati sempre più evidenti. Mentre il dibattito scientifico ha evidenziato come non sia possibile determinare un livello al di sotto del quale non si verificano danni, specialmente quando si ha a che fare con i radionuclidi che interagiscono con le cellule in maniera estremamente complessa modificando la struttura molecolare oppure genetica. Certo, in caso di incidente nucleare rilevante gli effetti sono certamente maggiori di quelli provocati dalla normale attività: «Nel caso di Fukushima la dose di radioattività “dispensata” agli abitanti del Giappone è tale che si possono ipotizzare circa 4.000 morti l’anno in più nell’arco di trent’anni – afferma il fisico Massimo Scalia – Il vero problema è identificare questi casi all’interno di una massa di 400mila tumori l’anno». Figuriamoci quelli che derivano dalle centrali che diffondono silenziosamente i radionuclidi in territori densamente popolati, dove si mescolano alle sostanze inquinanti nelle quali siamo immersi ogni giorno.

(La Nuova Ecologia, maggio 2011)

No comments:

Post a Comment

Note: Only a member of this blog may post a comment.