La Foxconn sarebbe pronta a introdurre nelle fabbriche un milione di robot lavoratori. Nel frattempo gli investimenti per l'automazione dei processi industriali schizza alle stelle. Quanto manca alla scomparsa della manodopera umana?
Alcuni lavoratori robot della Yaskawa Electric
Credits: Yaskawa Electric Corporationdi Fabio Deotto
La letteratura fantascientifica ci ha insegnato a temerlo, ne abbiamo intravisto a più riprese i sintomi, è lo scenario che anche i più intransigenti fra i neo-luddisti faticano a immaginare: l’avvento di una legione di operai robot che spazzi via la manodopera umana dalle fabbriche della terra.
L’idea che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui l’imperfetto e macilento essere umano avrebbe dovuto cedere il passo a un non ben precisato Homo Roboticus è annidata sottopelle nell’immaginario comune ormai da decadi. Si ha tuttavia ancora la percezione che si tratti di uno scenario distante, ancora protetto dai confini dell'improbabile. Eppure, a giudicare dai dati che abbiamo a disposizione, la prospettiva di una robotizzazione del mondo del lavoro è tutt’altro che lontana. Secondo i vertici della Foxconn, la più grande azienda manifatturiera dell’hi-tech odierno (che rifornisce tra gli altri Apple, Intel, Samsung e Sony), una prima transizione potrebbe già essere operata entro i prossimi due anni.
Esattamente un anno fa, il CEO di Foxconn, Terry Guo, aveva spiazzato tutti annunciando che l’azienda cinese si stava preparando ad “assoldare” oltre un milione di macchinari robotici. La discussione riguardante le difficili condizioni di lavoro dei lavoratori Foxconn era rovente, e l’annuncio era stato accolto da alcuni con un certo ottimismo: dopotutto, degli automi potrebbero alleggerire il lavoro degli operai, sostituendoli nelle mansioni più usuranti e pericolose. In pochi, al tempo, avevano paventato la possibilità che l’armata di nuovi lavoratori robot avrebbe potuto scalzare la manodopera umana in maniera massiccia.
Poi, lo scorso novembre, è diventato chiaro che la Foxconn non aveva intenzione di acquistare macchinari da terzi, ma di produrli in proprio e che per farlo avrebbe allestito un nuovo stabilimento per la ricerca e lo sviluppo. Per capire la reale portata della “rivoluzione” programmata dall’azienda cinese, basti pensare che in questo momento, in tutto il globo, la popolazione dei robot industriali ammonta a poco più di un milione di esemplari (dati forniti dalla International Federation of Robotics). Se davvero l’azienda di Taiwan arrivasse a produrre un milione di esemplari entro il 2015, la demografia robotica raddoppierebbe. E dal momento che il progetto di automtizzazione costerà all’azienda centinaia di milioni di dollari, è ragionevole supporre che Guo e colleghi continueranno a produrre automi per esportarli e venderli.
Ma qui non si sta parlando di Skynet o di Cyloni, né tantomeno paventando un’invasione di robot senzienti nella nostra di vita di tutti i giorni. La questione riguarda le fabbriche, e nello specifico, il futuro numero di posti di lavoro. Per quanto Guo assicuri che la nuova legione di automi non servirà a rimpiazzare la forza lavoro umana, bensì ad assisterla, un investimento simile induce a scorgere all’orizzonte una strategia a lungo termine votata al risparmio e all’ottimizzazione delle risorse.
Che poi è la stessa strategia che sembra alimentare la significativa crescita del settore robotico negli ultimi anni. In Asia, dal 2009 ad oggi, il numero di macchinari robotici industriali prodotti è passato da 30.000 a oltre 80.000 automi prodotti ogni anno. Secondo previsioni statistiche questo numero potrebbe toccare i 100.000 all’anno entro il 2014, questo senza contare l’atteso ingresso di Foxconn tra i produttori di robot industriali. In Europa e in America, per contro, questa crescita è molto meno ingente, e di qui ai prossimi anni faticherà a spostarsi dall’assicella dei 40.000 macchinari prodotti.
Insomma, i paesi asiatici, e in primo luogo la Cina stanno investendo un quantitativo enorme di risorse nell’automatizzazione delle industrie manifatturiere. Ma che effetti avrà questa nuova “rivoluzione industriale” sui tassi di impiego e in generale sulla società?
Nel suo saggio Race Against The Machine, Andrew McAfee, ricercatore al MIT di Boston, si interroga sulle ragioni che hanno portato a un costante aumento della disoccupazione dalla crisi finanziaria del 2008 ad oggi, a prescindere dai segni di ricrescita dell'economia americana. Secondo McAfee la colpa è in parte della crescente automatizzazione di un numero sempre crescente di settori lavorativi, che ha portato non solo gli operai, ma anche impiegati e colletti bianchi a poter essere sostituiti da macchinari sempre più sofisticati.
Tuttavia, nonostante la crescente mole di investimenti nell’automatizzazione della forza lavoro, nonostante le prospettive semi-apocalittiche spalancate dalla Foxconn, nonostante la crescita della disoccupazione, McAfee riesce a trovare uno scampolo d’ottimismo. “Erik Brynjolfsson mi ha aperto gli occhi parlando di Atene Digitale. I cittadini ateniesi conducevano una vita di ozio; partecipavano alla vita politica, creavano arte. Questo era possibile soprattutto perché i lavoro lo facevano gli schiavi. Ok, non voglio schiavi umani, ma in un’economia molto, molto automatizzata e digitalmente produttiva, non si avrebbe bisogno di lavorare così tanto, così duramente, con così tante persone, per ottenere i frutti dell’economia. Volendo essere ottimisti, l’automatizzazione potrebbe portarci ad avere molte più ore libere alla settimana.”
Per quanto io sia di natura ottimista (qualcuno direbbe addirittura “utopico”), fatico ad immaginarmi un mondo in cui la gente riuscirà guadagnarsi uno stipendio decente lavorando poche ore al giorno. Per quanto si possano ottimizzare i processi produttivi, per quanto automatizzati possano diventare i lavori usuranti, per quanto la produttività possa crescere a dismisura e i costi di produzione abbattersi, nella robotizzazione del mondo del lavoro è più facile vedere la parola “disoccupazione” che le parole “maggiore qualità di vita”.
Questo dovrebbe indurci a porci seriamente delle domande, senza paura di essere tacciati di “utopismo”.
Fonte: http://mytech.panorama.it
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