Almeno 2500 militari malati per il metallo radioattivo negli armamenti: il Governo Monti taglia ancora i fondi per i risarcimenti già rari, mentre le vittime aumentano nel silenzio delle istituzioni
Scritto da Sirio Valent
I soldati italiani mandati in guerra oltremare hanno da vent’anni un nemico alle spalle: l’uranio impoverito,
contenuto nelle testate dei proiettili e delle bombe, colpisce tutti.
Se lo portano dietro i reduci della Bosnia, del Kosovo, dell’Iraq, della
Somalia, dopo aver respirato (senza autorespiratori) polveri sottili e nanoparticelle radioattive; gli esplode in tumori dei polmoni, della pelle, del cervello dopo aver toccato (senza tute e senza guanti, mai forniti dallo Stato Maggiore) le apparecchiature belliche e le armi.
La prima vittima nota fu il generale Renzo Inghilleri, campano, morto nel 1993 dopo aver diretto per 4 anni il poligono di tiro di Salto di Quirra,
dove le armi U238 venivano testate su missili e munizioni da cannone.
La stessa area dove qualche mese fa il pm Fiordalisi ha spiccato 20
rinvii a giudizio per i casi di leucemia e tumori di Hodgkin, tra i
civili di Perdasdefogu e Quirra. Poi il primo militare di ritorno
dall’estero, dal Kosovo: Salvatore Vacca, caporalmaggiore dell’esercito, che muore di leucemia a pochi mesi dal rientro. La più recente, 3 giorni fa, è stata il sergente dei Marò Salvo Cannizzo, ucciso da un tumore al cervello a 37 anni. Era tornato nel 2006 dalla Bosnia con il male dentro, e percepiva una pensione di 769 euro al mese per l’invalidità riconosciuta:
non bastavano nemmeno al sostentamento quotidiano, men che meno per la
chemioterapia che avrebbe potuto allungargli la vita di anni.
Nessuno ammette la verità sull’uranio impoverito.
L’ex ministro della Difesa Arturo Parisi, nel 2007, dichiarò prima 37
militari uccisi dalle radiazioni, poi 77: i casi di malattia lievitarono
dai 255 dichiarati il 9 ottobre e i 312 ammessi il 6 dicembre. La
Sanità militare, nello stesso anno, contò 158 decessi e 1833 casi di
contaminazione acuta. Le associazioni delle vittime ne arrivano a
segnare 4000. Il numero preciso resta un mistero, perché centinaia sono i
casi rimasti nell’ombra. Quel che è certo è che curarsi, dopo aver scoperto la malattia, è impresa quasi disperata: i risarcimenti sono pochi e inadeguati, la maggior parte delle domande viene respinta.
I rifiuti sono zeppi di errori. Fanno riferimento a leggi emanate nel 2006, che nel caso della Bosnia non erano ancora in vigore, e non alla 308/81,
che regola i risarcimenti per le “basse radiazioni” che colpiscono
militari in missione o nelle basi nazionali. Per anni è stata richiesta
la dimostrazione di un nesso deterministico di causa-effetto tra
esposizione e malattia: solo negli ultimi anni è stata accettato, e con
molte difficoltà, il nesso probabilistico. Non basta. La Spending Review di Monti, a luglio, ha calato la mannaia anche sui fondi per le vittime “sul lavoro” dell’Uranio impoverito: da 22 a 11 milioni di euro per l’anno 2012, di cui 9 sono già stati spesi per 60o risarcimenti. A nessuno di loro, ricordiamo, è stata riconosciuta la causa di servizio per la malattia (o la morte).
Fonte: http://www.dirittodicritica.com
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