L’Oriente vuole la Luna… e non solo
Mentre la Cina inaugura il 2011 annunciando che ad ottobre punterà su Marte con una nuova missione, l’Organizzazione Indiana per le Ricerche Spaziali (ISRO) si appresta a rimboccarsi le maniche dopo aver ricevuto, proprio il giorno di Natale, la più sgradita delle sorprese con il fallimento della messa in orbita di un satellite. Il resto del mondo, Stati Uniti in prima linea, prende atto che ad Oriente c’è molto più che un semplice fermento se si parla di attività spaziali: su questo fronte Cina e India, assieme al Giappone, sono vere e proprie nuove potenze, estremamente operose e determinate. Abbiamo chiesto a Pino Malaguti direttore dell’INAF- IASF di Bologna, già responsabile spazio del nostro istituto, se si può dire che la ‘corsa allo Spazio’ sia ricominciata con nuovi protagonisti: “Se per ‘corsa allo Spazio’ s’intende l’esplorazione umana dello stesso, direi di sì. Nel senso che come negli anni ’60 i protagonisti erano le grandi potenze economiche (politiche e militari…) di allora, lo stesso accade oggi, ma con il baricentro economico-finanziario-politico del pianeta che risente della presenza delle tigri d’Oriente. Quella che viene invece catalogata come ‘esplorazione robotica’ dello Spazio (ossia telescopi per l’osservazione dell’universo, o sonde per lo studio di pianeti, asteroidi o comete) non è mai stata interrotta”.
Giappone, India e Cina hanno già raggiunto la Luna (con la missione giapponese Kaguya, le cinesi Chang’e 1 e Chang’e 2, e il satellite Chandrayaan 1 dell’India), ma questo è solo l’inizio visto che le intenzioni per andare ben oltre ci sono tutte. Andare oltre significa ad esempio raggiungere Marte che, dopo le sonde e i satelliti di russi, americani ed europei, dovrà accogliere intorno a sé anche un nuovo ospite, questa volta ‘made in china’, la sonda Yinghuo-1. Il lancio, stando all’annuncio stampa del 2 gennaio, è previsto per ottobre e sarà effettuato in collaborazione con la Russia. Questa missione, che partirà con due anni di ritardo sulla tabella di marcia, rappresenterebbe di certo un traguardo scientifico e tecnologico per la Cina, ma anche qualcosa di più: significherebbe riuscire dove il Giappone ha fallito (nel 1998 con la missione Nozomi).
In tema di fallimenti la scottatura più recente l’ha ricevuta l’India: lo scorso 25 dicembre, il razzo vettore che avrebbe dovuto portare in orbita il satellite per le comunicazioni GSAT 5P, è esploso in volo a meno di un minuto dal decollo. “Non li chiamerei fallimenti” commenta Malaguti “ma infortuni di percorso. La mia opinione è che si tratti di un fenomeno insito nella natura delle cose. Non dimentichiamoci che anche il programma Apollo fu costellato di infortuni, alcuni dei quali tragici (e.g.: Apollo 1 ). E tutti ricordiamo i tragici eventi dello Shuttle, che certamente non sarà ricordato come un programma fallimentare.” Insuccessi a parte, Cina e India sono potenze in crescita nel panorama economico e politico mondiale e pur dovendo gestire situazioni interne estremamente delicate, investono moltissimo nella ricerca e le tecnologie per lo spazio: non è certo un caso, come sostiene Malaguti “la ricerca e lo sviluppo di tecnologie spaziali (a scopi scientifici e applicativi) è sempre stata, dalla sua nascita nell’immediato dopoguerra, uno dei cardini strategici delle grandi potenze (la nostra Italia fu la prima nazione dopo USA ed URSS a raggiungere la dimensione spaziale). La novità di questi anni è probabilmente che il club delle grandi potenze ha nuovi soci.” E questi ‘nuovi soci’ potrebbero essere i prossimi a raggiungere la Luna con una missione umana: se l’argomento sembra non destare più l’interesse degli americani, l’obiettivo di calpestare nuovamente il suolo lunare rientra nei programmi di tutte e tre le potenze spaziali d’oriente e il proposito è riuscirci entro il 2020, ma possiamo davvero aspettarci che il prossimo uomo sulla Luna sia un indiano, un cinese o un giapponese? “Beh, perché no. Con il caveat importante che il ‘prossimo uomo’ potrebbe essere una donna…”.
Per quanto riguarda invece la politica spaziale attuata dal nostro Paese, più che all’individualismo si punta alla collaborazione: “per il suo contributo all’Agenzia Spaziale Europea (ESA)” spiega Malaguti “l’Italia si pone al terzo posto fra tutti gli stati membri, dopo Germania e Francia.” Il governo italiano, attraverso la propria Agenzia Spaziale (ASI), fondata nel 1988, nutre un grande interesse per le attività spaziali. Lo dimostra anche la decisione di dotarsi, per la prima volta, di un Documento di Visione Strategica che in dieci anni, a partire dal 2010, prevede il collocamento delle attività spaziali nella prospettiva nazionale, europea e internazionale.
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