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Thursday, February 24, 2011

Drone predator: sembrerebbe un video-gioco ma non lo è

La base è in Nord Virginia. Il cubicolo, uno dei tanti della base, è piccolo pressappoco come quello della cabina di pilotaggio di un aereo. Le poltrone su cui siedono i due ufficiali piloti sono invece simili a quelle dei manager di un’azienda qualsiasi. Di fronte a loro una serie di apparecchiature elettroniche, dei monitor, due tastiere elettroniche e un joystick. Il tutto serve a pilotare le operazioni che appaiono nei video. Sembrerebbe un videogioco, ma non lo è.
Dentro al video si vede ora un’auto percorrere un’arida e tortuosa strada collinare a migliaia di miglia di distanza da quel cubicolo. La zona è quella del nord Waziristan nel Pakistan. All’interno dell’auto c’è un’intera famiglia. L’uomo alla guida è un sospetto terrorista, incluso nella lista dei ricercati dalla Cia.

Dopo un po’ l’auto sembra giunta a destinazione, rallenta, si ferma. L’uomo apre la portiera e scende dall’auto. Un attimo dopo una forte esplosione illumina completamente il video del monitor e l’uomo... non esiste più, completamente fatto a pezzi dalla potente esplosione. Il bersaglio è centrato in pieno, l’operazione conclusa, gli schermi vengono immediatamente spenti.

John A. Rizzo (dal cognome si direbbe di origine italiana), comandante di quella unità operativa, e uomo di punta della Cia per le operazioni di controterrorismo a mezzo degli aerei senza pilota, spiega che a distruggere il sospetto è stato un piccolo missile lanciato da un drone predator completamente pilotato a distanza dagli operatori della sua base. Ma è categorico nel sostenere che la famiglia del terrorista all’interno dell’auto è stata risparmiata.

Lui è molto meticoloso in questo, e lo rimarca con forza perché sa che i “danni collaterali” di queste operazioni sono visti molto male dal comando generale della Cia. Gli ordini sono tassativi: bisogna colpire i bersagli evitando il più possibile di colpire persone non incluse nella lista dei ricercati.

Non è dato sapere se dice il vero, qualche dubbio però è lecito. Anche perché le statistiche rilasciate dalle agenzie specializzate dicono qualcosa di molto diverso.

Il direttore della New American Fundation dice per esempio che il 94 per cento delle persone uccise non sono terroristi compresi nella lista, ma semplici militanti di basso livello, assolutamente sconosciuti. Dice anche che nel 2010 il numero degli attacchi con i droni è aumentato drasticamente. Nel solo 2010 gli attacchi hanno toccato il livello record di 118 (al costo medio di un milione di dollari l’uno) e si calcola che almeno 607 persone siano state uccise. Un numero che corrisponde a circa la metà di tutti quelli uccisi nei 5 anni tra il 2004 e il 2009. Ma solo 13 dei bersagli colpiti erano considerati di alto livello e complessivamente solo 32 erano nella lista dei ricercati, ovvero solo il 2 per cento circa delle vittime di queste operazioni. Tuttavia, nonostante la forte escalation del 2010, dalle statistiche di New American Fundation appare che il numero delle vittime civili degli attacchi con aerei senza pilota sia calato dal 25 del 2004 al 6 per cento del 2010. La Cia sostiene addirittura che negli ultimi sei mesi non un solo civile sia caduto vittima di questi attacchi. Però non è chiaro chi è considerato civile e chi militante dalla Cia.

Tutto l’insieme di queste operazioni è perciò valutato dalla Cia come un grande successo, nonostante il costo elevato dei droni. L’aver allargato l’area dei bersagli ai semplici militanti, secondo gli analisti della Cia, avrebbe dato un forte colpo al morale delle organizzazioni terroristiche, costringendole alla difensiva e abbassando così il rischio di nuovi attacchi letali come quello dell’11 settembre 2001.

Il governo Pakistano non è molto d’accordo su questa interpretazione e sostiene invece che spesso sono proprio i soldati Pakistani, impegnati nelle zone dove si nascondono i sospetti terroristi, a cadere vittime di questi attacchi.


Roberto Marchesi – Dallas, Texas

Fonte: http://www.rinascita.eu

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