1986, 26 aprile. Ore 01, 23 minuti e 40 secondi. Un test sui sistemi di sicurezza della centrale nucleare “Vladimir Ilych Lenin” di Cernobyl, Ucraina, porta all’esplosione del reattore numero 4. Lo scopo del test era una verifica della capacità di produzione di energia anche senza il vapore prodotto dal circuito di raffreddamento; per ottenere questo risultato bisognava disabilitare alcuni sistemi di sicurezza, violando così tutte le regole. L’acqua di raffreddamento si scisse in ossigeno ed idrogeno; quest’ultimo, a contatto con le barre di grafite incandescenti, esplose violentemente, scoperchiando letteralmente il reattore (foto 1).
Il successivo incendio durò 10 giorni, molti tecnici, operai, soldati e vigili del fuoco morirono a causa delle radiazioni, lavorando sul sito contaminato con protezioni a dir poco insufficienti (foto 6) e le nuvole di fumo e i vapori sparsero per tutta Europa numerosi tipi di materiali radioattivi, tra i quali: cesio 137, iodio 131. Il primo decade dopo circa 30 anni ed è ancora misurabile in alcune zone europee.
La città di Pripryat, vicina alla centrale, venne evacuata 36 ore dopo l’incidente: 40.000 persone dovettero lasciare precipitosamente le loro case (foto 2,3,5). Altre 130.000 lasciarono le loro abitazioni in un raggio di 30 chilometri, nei giorni successivi (foto 4). In totale, 50.000 kmq di territorio Ucraino risultano ancora oggi contaminati ed in queste zone, a nord di Kiev fino al confine con la Bielorussia, vivono oltre 2 milioni di persone, giornalmente sottoposte ad un livello di radiazioni ben al di sopra della norma (fonte: http://www.chernobyl.info/Default.aspx?tabid=130&map=106_en).
In Bielorussia il 23% del territorio è contaminato e lo rimarrà chissà per quanti decenni ancora; ciò nonostante, il Governo ha annunciato la costruzioni di due nuove centrali nucleari, le prime, mentre in Ucraina ne troviamo quindici funzionanti ed altre tre sono in previsione.
Il numero delle vittime è oggetto di un macabro balletto di cifre: l’ONU stima in 65 morti (accertati), e 4.000 morti “presunte”, cioè non direttamente legate all’incidente. Varie organizzazioni, però, hanno effettuato stime differenti: Greenpeace fornisce una stima tra 100.000 e 270.000 vittime e sei milioni di vittime per tumori su scala mondiale. Il Partito Verde Europeo, in un proprio studio, concorda sulle 65 vittime accertate, ma arriva a contare 9.000 vittime per tumori e leucemie.
Il Governo sovietico mantenne un colpevole silenzio sull’incidente per diversi giorni, finché il 27 aprile, alla centrale di Forsmark in Svezia, alcuni operai in ingresso fecero scattare i rilevatori di radiazioni; stabilito che nella centrale ogni cosa fosse in sicurezza, vennero iniziate le procedure per identificare la provenienza della fuga radioattiva, arrivando così in Unione Sovietica. Solo allora, il Governo comunista ammise l’incidente.
Nonostante molti abbiano affermato che la Storia debba essere una severa insegnante, i fatti dimostrano come questo, purtroppo, non sia del tutto vero. Il tremendo maremoto che poco tempo fa ha devastato il Giappone ha provocato gravissimi danni alla centrale di Fukushima, scatenando un disastro nucleare forse peggiore di quello avvenuto a Cernobyl (foto 7). L’azienda privata che gestisce la centrale di Fukushima ed il Governo giapponese hanno mentito a più riprese sulla reale portata del disastro, mostrando di tenere davvero in poco conto la vita di decine di migliaia di cittadini giapponesi e chissà quanti di più, nel mondo.
La morale di tutto questo è che nonostante tutte le misure e le garanzie di sicurezza, per le centrali nucleari, non esiste “sicurezza”, ma solo un certo margine di tranquillità: un terremoto, un errore, lo spegnimento di un generatore diesel, ed è l’inferno.
Questo concetto di “sicurezza non sicura” dovrebbe essere alla base di ogni dibattito sull’opportunità o meno di costruire nuove centrali, su come e dove costruirle, vagliando rischi e vantaggi, e valutando sempre sistemi alternativi di produzione di energia.
(Franco Wendler)
Nota: molti pubblicano fotografie di malati terminali, colpiti dalle radiazioni, noi preferiamo non farlo. Per la grafia del nome della centrale abbiamo scelto Cernobyl, come dal nome originale che scritto con la diacritica è Černobyl’ (e non seguendo la versione passata dalla lingua inglese anche ad altre lingue con l’h per indicare la c dolce: Chernobyl).
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Fonte: http://www.buongiornoslovacchia.sk
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