Un sistema di imaging sviluppato da Caltech e JPL permette finalmente di riprendere direttamente i pianeti in orbita attorno a stelle vicine, sottraendo la luce della stella fino a rendere visibile il pianeta.
Qualcuno potrebbe chiedersi perché le notizie sulla scoperta di nuovi pianeti sono quasi sempre accompagnate (anche qui su Media Inaf) da disegni, “rappresentazioni artistiche” del nuovo pianeta, e praticamente mai da una sua foto. Semplice: se scoprire la presenza di un pianeta attorno a una stella con metodi indiretti è diventato molto più frequente, grazie a strumenti come il telescopio Kepler della Nasa, catturarne direttamente l’immagine è quasi impossibile. La luce della stella è miliardi di volte più intensa di quella riflessa dal pianeta, che viene sovrastata. Ora un nuovo progetto finanziato dall’American Museum of Natural History, dal California Institute of Technology e dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, chiamato un po’ misteriosamente Project 1640, prova a risolvere il problema. Lo fa utilizzando una nuova e astuta tecnica di analisi applicata alle immagini raccolte dal telescopio Hale dell’osservatorio Palomar in California. Il progetto ha iniziato a raccogliere dati lo scorso mese, e ha presentato le prime immagini in questi giorni al meeting della Society for Optics and Photonics Astronomical Telescopes and Instrumentation (SPIE) ad Amsterdam.
Il sistema permette di elaborare le immagini fino a creare dei “buchi” attorno al disco di una stella, in cui far apparire l’immagine del pianeta. Project 1640 si basa su quattro strumenti principali che raccolgono la luce infrarossa proveniente dalle stelle e dai pianeti che vi orbitano attorno. Un sistema di ottiche adattive, costruito da Caltech e JPL, che possono “manipolare” la luce che ricevano applicando fino a 7 milioni di deformazioni attive al secondo dello specchio del telesciopio; un coronografo, che attenua otticamente la luce della stella ma non degli altri oggetti nel campo visivo del telescopio; uno spettrografo che registra le immagini di altri sistemi solari simultaneamente in diversi colori; e infine un sensore speciale associato al coronografo, che rileva imperfezioni nel percorso della luce con una risoluzione di un nanometro
Il coronografo crea una sorta di “eclisse artificiale”, bloccando la luce della stella. Tuttavia circa uno 0,5 per cento di quella luce si diffonde attorno e crea un rumore di fondo sufficiente a nascondere la luce del pianeta. Grazie agli altri strumenti e a raffinate tecniche statistiche, i ricercatori sono riusciti a “cancellare” dalle immagini la luce diffusa della stessa, creando dei buchi scuri in cui è possibile far apparire finalmente la luce del pianeta. Dimostrata finalmente la fattibilità di questa tecnica, i ricercatori hanno iniziato una survey, che durerà tre anni, in cui sperano di catturare le immagini di centinaia di giovani stelle.
“Se riusciamo a vedere direttamente gli esopianeti, possiamo determinare il colore della luce che emettono, la composizione chimica della loro atmosfera, persino la caratteristiche fisiche della loro superficie” ha spiegato Ben R. Oppenheimer, curatore del Dipartimento di Astrofisica del Museo e Principal Investigator di Project 1640.
Fonte: http://www.media.inaf.it
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