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Tuesday, November 22, 2011

Due formule per scovare la vita aliena

Ogni anno spuntano decine di nuovi esopianeti, corpi celesti che potrebbero essere abitabili o addirittura "abitati". E gli scienziati ora propongono due indici per dare la caccia solo ai più promettenti

di Anna Lisa Bonfranceschi

Se la Terra ospita la sola forma di vita che conosciamo, non è detto che questa sia l’unica a esistere. E continuare a cercarla, tra gli esopianeti che verranno via via scoperti, puntando gli occhi solo su quelli più simili al nostro pianeta e alle sue condizioni potrebbe mettere a rischio la possibilità di scovare forme di vita aliene. Ne sono convinti i ricercatori rappresentanti della Nasa, del Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence) e dell’ Agenzia spaziale tedesca che, in uno studio su Astrobiology, propongono per la prima volta di adottare due diversi indici di abitabilità con cui catalogare gli esopianeti: uno basato sulle similitudini dei nuovi pianeti con la Terra e l’altro invece che tenga conto della possibilità di nuove forme di vita in condizioni diverse da quelle cui siamo abituati. Avere a disposizione degli indici permetterebbe così di concentrare l’attenzione solo sui candidati che abbiano raggiunto un buon punteggio.

Secondo Dirk Schulze-Makuch della Washington State University School of Earth and Environmental Sciences andare a caccia di forme di vita extraterrestri significa principalmente rispondere a due domande: “La prima questione è se le condizioni simili alla Terra possono essere trovate in altri mondi, dal momento che noi sappiamo che queste possono ospitare la vita, e la seconda è se esistono condizioni su esopianeti che suggeriscono la possibilità di altre forme di vita, a noi conosciute o meno”.

Come spiegano gli scienziati infatti, la nozione di abitabilità non è necessariamente ristretta al nostro modello terrestre, ovvero all’esistenza di acqua come solvente o a un pianeta che ruota intorno a una stella: “Per esempio, i laghi di idrocarburi su Titano (satellite di Saturno, ndr) potrebbero ospitare diverse forme di vita. Studi analoghi su ambienti ricchi di idrocarburi sulla Terra infatti indicano chiaramente che questi potrebbero essere abitabili in linea di principio” ,spiegano gli autori : “I pianeti orfani che vagano liberi da una stella centrale potrebbero allo stesso modo ospitare condizioni adatte per alcune forme di vita”.

Così, per evitare che la ricerca si focalizzi troppo alla caccia di pianeti earthlike, i ricercatori propongono due diversi indici di abitabilità con cui misurare la propensione di pianeti e satelliti a ospitare forme di vita aliene. Il primo, basato sulle similitudini con il nostro pianeta, si chiama Earth Similarity Index (ESI), mentre il secondo, quello pensato per descrivere condizioni chimico fisiche meno vicine alle nostre ma potenzialmente adatte a extraterresti, è il Planetary Habitability Index (PHI). In questo modo, allargando l’orizzonte, forse la possibilità di incontrare qualche alieno potrebbe essere meno remota.

(Credit per l'immagine: Steve Prezant/Corbis)

Fonte: http://daily.wired.it


Commento di Oliviero Mannucci: Era ora che la scienza cominciasse a diventare meno omocentrica, ma è ancora troppo poco. Perchè non si comincia a prendere in considerazione il fatto che degli esseri tecnologicamente più avanzati di noi , potrebbero venire anche da dimensioni parallele alla nostra? E perchè la maggior parte dei scienziati non vuole prendere seriamente in considerazione che quel 5% di avvistamenti UFO che statisticamente rimangono senza spiegazione potrebbero riguardare anche navi spaziali extraterrestri? L'astrofisico Labeque dell'Università di Orsay durante un convegno del SETI tenutosi a Parigi nel Settembre 2008 disse: Cari colleghi, continuate pure a cercare civiltà intelligenti con i sistemi tradizionali, ma attenzione perchè "Something is here" ( Qualcosa è qui) e raccontò l'avvistamento fatto da sei ufficiali dell'USAF nel 1957 durante un volo di ricognizione a bordo di un RB47 dotato di apparecchiature per le contromisure elettroniche. L'aereo dell'USAF fu seguito per 700 miglia dall'UFO e nel frattempo i sei ufficiali rilevarono delle emissioni radio provenienti dall'UFO, come se stasse comunicando con qualcuno sulla frequenza di 3 Ghz. Lavorate dunque su questa frequenza - disse il buon Labeque - potrebbe riservare delle sorprese. Questo è l'atteggiamento da tenere quando si fa ricerca, tenere aperto il cervello, se l'uomo l'avesse sempre fatto la nostra società sarebbe molto più avanzata.

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