Hidehiko Nishiyama, portavoce dell’agenzia per la sicurezza giapponese lo ha detto chiaramente all'Ansa: «Non abbiamo notizia dell’utilizzo di robot» presso la centrale di Fukushima, smentendo così una precedente affermazione di un funzionario del ministero delle Scienze che aveva detto che un robot era stato impiegato per misurare la radioattività nella centrale. Sono in molti a chiedersi il perchè di questa assenza.
«Il problema - spiega il prof. Paolo Dario della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa - è che al momento per uso civile non esistono per questo tipo di emergenze robot complessi e sofisticati come quelli utilizzati per fermare la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico a 1.500 metri di profondità. Nessun robot civile, per quanto ci è dato sapere, può operare con la stessa affidabilità in un ambiente ad altissima radioattività. I giapponesi avevano cominciato negli anni ’80 a progettare robot per emergenze di questo tipo, così come sono stati cominciati decine di progetti, ma la tecnologia in quel settore non ha avuto lo stesso sviluppo come in quello dei robot per gli abissi marini. Parlo naturalmente solo per i robot civili, per quanto riguarda quelli militari non si può escludere che ne esistano, coperti da segreto militare. E, anzi, gira voce che sia in arrivo in Giappone un robot americano da utilizzare nella centrale di Fukushima. Ma è una voce di cui non ho trovato riscontro finora».
In effetti, la prima conferenza mondiale per l’utilizzo dei robot nell’industria energetica e nucleare si è tenuta a Montreal, in Canada, lo scorso ottobre e l’argomento dell’uso dei robot in emergenze dovute a incidenti nucleari non è stato toccato. L’esperienza più importante, quindi, risale a Three Mile Island e a Cernobyl, dove i robot furono usati per rilevare le radiazioni e in parte anche per contenere i danni bonificando l’area dalle scorie. In particolare, nella centrale statunitense furono usati dapprima due robot, costruiti da un docente e la sua classe di studenti della Carnegie Mellon University: Rover e Workhorse.
Il primo, un automa a sei ruote, rilevò i livelli di radioattività e filmò la zona inferiore del reattore; il secondo cominciò l’opera di bonifica, ma si rilevò subito troppo complesso nelle operazioni di manutenzione e fu messo da parte.
In seguito furono usati altri robot per la bonifica che però fu interrotta ad un certo punto. A Cernobyl, sono stati usati robot industriali, tra cui alcuni inviati anche dal Giappone, sia per la rilevazione delle radiazioni che per l’assemblaggio di parte del sarcofago. Le radiazioni, però, continuavano influire pesantemente sull’operato dei robot e sulle trasmissioni a distanza.
«È evidente che l’uso dei robot non può non far parte del futuro dell’industria nucleare - conclude il prof. Dario -. Le nazioni dovrebbero aver robot d’emergenza per queste situazioni pronti come gli spazzaneve sulle autostrade. La robotica - conclude - è comunque una soluzione che serve, anche nel caso non si costruiscano più centrali. Già oggi, infatti, viene ampiamente usata per la dismissione di quelle decomissionate». (Ansa)

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