Nel 1999, Chris Columbus metteva in scena un romanzo di Isaac Asimov dal titolo 'L'uomo bicentenario' nel quale un robot imparava a reagire agli stimoli degli esseri umani come un umano a tutti gli effetti finché non lo diventa veramente, dopo duecento anni. Forse non arriveremo a rendere completamente umano un robot, ma Martin Saerbeck, ricercatore presso l’Institute of High Performance Computing a Singapore, sta compiendo dei passi importanti per far sì che un robot possa essere programmato per rispondere a stimoli che non siano necessariamente comandi verbali.
Lo scienziato narra come questa idea gli sia sorta per caso, quando il suo robot Biron, costruito nel 2005, un giorno non rispose ad un suo comando sembrando addormentato. A questa vista Saerbeck, senza riflettere, si rivolse alla sua costruzione alzando una mano e urlando 'Svegliati', come un papà farebbe con il figlio che non vuole andare a scuola. Da questo istinto l’idea: programmare robot per reagire a stimoli umani.
“Non voglio pensare troppo a come interagire con lo strumento o a come controllarlo” afferma Saerbeck. Per questo egli sta pensando a come programmare robot per rispondere alle parole degli umani all’interno di un dialogo, non solo a poche parole precise, dette come comandi. È questa la ragione per cui i ricercatori stanno lavorando in modo da sviluppare abilità più sofisticate nei robot che ne riducano l’'effetto stranezza' quando interagiscono con gli esseri umani, ovvero il fatto che naturalmente non appaiano spontanei e nemmeno spesso così rapidi nell’esecuzione dei comandi.
“Quando i robot vengono a vivere negli spazi umani, dobbiamo tenere conto di molte più cose rispetto a quando essi sono destinati a restare nella linea di produzione – spiega Haizhou Li, capo dello Human Language Technology Department dell’Institute for Infocomm Research, anche questo a Singapore - Deve essere considerata ogni cosa, dal design al processo cognitivo”.
Il punto chiave della ricerca di Saerbeck è la credibilità, ovvero il poter rendere un robot meno artefatto possibile. Per questo il team di lavoro comprende non solo informatici e ingegneri, ma anche psicologi, sociologi e linguistici, in modo da rendere l’interazione del robot 'socialmente accettabile'. Parallelemente, sta sviluppando sofisticati programmi in modo da consentire all’uomo meccanico di agire in modo autonomo in molte situazioni.
Una meta importante che Li vuole raggiungere a questo scopo è migliorare l’attenzione del robot. “Nelle interazioni tra esseri umani, si condivide un naturale concetto di comunicazione – spiega Li - Noi sappiamo quando una conversazione inizia e quando finisce, così come sappiamo quando possiamo iniziare a parlare in un gruppo. Ora stiamo cercando di inserire in un robot questa abilità”.
In questo momento, in particolare, Saerbeck sta sviluppando un robot tutor, che aiuta i bambini a fare i compiti sui vocaboli. Un caso visto che anche l’uomo bicentenario fu comprato proprio per aiutare la figlia piccola della famiglia?
Roberta De Carolis
Fonte: http://www.nextme.it/
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