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Wednesday, October 19, 2011

Nucleare: la minaccia ora viene dal mare Nostrum

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di Loredana AlesSi muovono silenziosi nei mari più trafficati del sud Italia e non solo. Sono i sottomarini a propulsione nucleare della marina militare Usa. La notizia è tenuta nascosta. Questi giganti del mare, negli ultimi mesi hanno sganciato centinaia di missili “Tomahawk” all’uranio impoverito, spargendo polveri radioattive nelle città e nei villaggi della Libia. Il problema allora non ci riguarda? Non è così. Per le loro soste scelgono le coste italiane, da La Spezia ad Augusta. Ma quanto sono pericolosi? I sottomarini nucleari sono inevitabilmente sistemi “accident prone”, ovvero che possono subire vari tipi di incidenti, anche molto gravi, con frequenza notevolmente maggiore rispetto ai sistemi nucleari civili. Sono per la maggior parte di vecchia data e antiquati e se ne vanno a spasso liberi per i nostri mari. Uno di essi è approdato il 4 aprile ad Augusta (Siracusa), in un’area ad altissimo rischio ambientale, sede di un’importante base della Marina militare italiana e del principale polo navale delle forze Usa e Nato nel Mediterraneo.

L’ingegnere nucleare Massimo Zucchetti, professore ordinario di “Impianti nucleari” presso il Politecnico di Torino spiega a “Il Sud” la pericolsità dello stazionamento e del transito dei sottomarini nucleari nei nostri mari: «L’Italia è infestata da questi stabilimenti. La Spezia, Trieste, Napoli, Gaeta, Taranto e adesso anche la Sicilia, dove i sottomarini sono utilizzati per le missioni in Libia. Quella di Augusta, chiamata anche la “rada di augusta” ultimamente – riferisce l’ingegnere – è stata rivalutata. È uno degli undici posti dove i sottomarini possono stazionare e riposarsi, fare rifornimento di combustibili all’oscuro della popolazione.
Se si sapesse che ad Augusta stazionano almeno una o due impianti nucleari, ci sarebbe una protesta, a causa della poca sicurezza che questi garantiscono. Pur trattandosi di sottomarini, questi emettono comunque le stesse radiazioni degli impianti fissi, plutonio, iodio. Essendo in ottime condizioni non sono pericolosi in quanto le poche radiazioni emesse vengono attenuate dall’acqua e dalla discreta distanza. Il problema è essere onesti, ovvero far conoscere la possibilità del vericarsi di incidenti, che è elevata».

Il nodo cruciale delle questione è che i sottomarini nucleari come tali hanno un impianto nucleare. Si tratta, dunque, di centrali in miniatura che però non presentano le strutture di contenimento e di sicurezza che al contrario contraddistinguno le centrali nucleri sulla terra ferma. Un sottomarino nucleare non ha lo spazio necessario per rendere sicuro da un eventuale scoppio o incendio lo scafo e in caso di incidente la probabilità che possa rilasciare materiale radioattivo è molto alta, a causa delle esigua possibilità di schermare una eventuale fuoriuscita. Inoltre l’importanza della vicenda risiede nel fatto che gli italiani hanno deciso, attraverso un referendum, di non avere il nucleare, hanno fatto, dunque, una scelta di rinuncia. Questa però, nel concreto non viene minimamente considerata, vista la presenza massiccia sui mari italiani di minacce atomiche».

Un altro problema, non meno grave, è il mantenimento della distanza di sicurezza degli impianti nucleari e delle basi di appoggio dei sottomarini, rispetto ai centri abitati. Massimo Zucchetti ricorda, infatti, come le normative prevedano intorno ai reattori nucleari un’area in cui non sia presente popolazione civile la cosiddetta “zona di esclusione”, mentre è richiesta, in una fascia esteriore più ampia, una scarsa densità di popolazione per ridurre le dosi collettive in caso di rilasci radioattivi. Normalmente, la fascia di rispetto ha un raggio di 1.000 metri se vi sono requisiti di scarsa densità di popolazione per un raggio di non meno di 10 km dall’impianto. Molto spesso questo non accade, così come successo al sommergibile nucleare statunitense Hartford, presso la Maddalena, in Sardegna, che nel 2003 ha subito un grave danno allo scafo, provocando la fuoriuscita di materiale radioattivo.
«Le misurazioni della radioattività – riferisce Zucchetti - svolte attraverso degli studi sulle alghe marine nel tratto di mare nel quale è avvenuto l’incidente, hanno prodotto dei dati allarmanti. Sono state, rilevate, infatti, tracce di plutonio. La distanza tra la base d’appoggio del sottomarino e la terraferma era di soli 50 metri. A monte di questo l’autorità civile, trattandosi di quastioni militari, è tenuta all’oscuro di tutto. I piani di emergenza, previsti in caso di incidente nucleare, non vengono consegnati all’autorità civile in quanto operazioni coperte dal segreto militare. Questa, nel caso della Maddalena ha cercato di imporsi ma i piani di sicurezza erano del tutto inadeguati. Avevano previsto come “sicurezza”, l’utilizzo di un rimorchiatore che in caso di fuoriuscita di nube radioattiva, potesse portare a largo il sottomarino. L’evento, quello che noi chiamiamo “base di progetto”, evento di riferimento più grave, ovvero di incendio a bordo del sottomarino prevedeva non altro che l’utilizzo di questo rimorchiatore. L’operazione ha richiesto un tempo di attesa di quasi un giorno».

Esiste dunque una soluzione al problema? A detta del professore Zucchetti, sarebbe necessario vietare la permanenza dei sottomarini nucleari vicino ai centri abitati, comunicare alle autorità civili i piani di emergenza, e rivedere e adeguare gli standard di sicurezza civile. «C’è una storia di decine di incidenti nel Mediterraneo – continua Zucchetti – come quelli dei sottomarini francesi, quello di un sottomarino inglese, il Torless, che decise di riposarsi presso lo stretto di Gibilterra dopo avere subito un incidente. Dall’evento scaturì una tensione diplomatica tra Spagna, Inghilterra e Marocco, in quanto nessuno voleva il sommergibile a distanza di 2 km dal proprio territorio. Poi quelli nella zona tra Cipro, Isdraele e Turchia, poi gli incidenti dei sottomarini russi, una pagina nera degli incidenti del mare nella zone dellArtico e nell’oceano indiano. L’ideale sarebbe bandirli dal Mediterraneo».
E l’Italia cosa fa per tutelare i cittadini? Il governo è a conoscenza della presenza di queste minacce nucleari, ma la stipula di un accordo di cessione di responsabilità e di sovranità limitata fatta nel 1972 durante il governo di Andreotti, ne limita il raggio d’azione. «Gli Stati Uniti e la Nato hanno la possibilità di fare quello che vogliono nelle basi militari, come quella di Aviano e di Ghedi in Lomabrdia dove stanziano 80 bombe atomiche e nelle altre basi militari. L’Italia non ha accesso e quando le autorità civili cercano di far valere i propri diritti si scontrano con il segreto militare e con dei muri di gomma. La stampa ha il potere di far conoscere la situazione, qualcosa si deve pur fare».
L’unico miglioramneto possibile sarebbe quello di proibire lo stazionamento vicino a centri altamente popolati, ovvero su tutto il territrio italiano, tra l’altro questo è il motivo per il quale non si possono fare centrali nucleari in Italia. In poche parole il popolo italiano ha rinuciato alle centrali nucleari a terra e allora le hanno fatte sul mare.

Fonte: www.sudmagazine.it

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