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Tuesday, April 5, 2011

Pesce al plutonio

Contaminazione nucleare: i rischi dal Giappone all'Italia.

di Vita Lo Russo



Gli ipocondriaci quest'anno hanno nuovi incubi. Non più influenza A, aviaria o mucca pazza, ma gli elementi della tavola periodica accompagnati da cifre: iodio 131, cesio 137, e la new entry del giorno, plutonio 238 (ma anche 239 e 240).
Queste sostanze emettono radiazioni che vanno a modificare il Dna delle cellule innescando pericolose mutazioni genetiche e processi tumorali: lo iodio 131 va a intaccare la tiroide, il cesio 137 prende di mira muscoli, organi molli compreso il cuore; l'ultimo della lista, invece, può danneggiare gravemente scheletro, polmoni e fegato.
Tutti e tre agiscono sia se inalati sia se ingeriti, ma hanno vite radioattive molto differenti: lo iodio pulsa a pieno ritmo per otto giorni, il plutonio per 24 mila anni.

Il cuore nero di Fukushima

Dall'11 marzo questi isotopi vengono sparati nell'ambiente circostante dalla centrale di Fukushima nel nord est del Giappone, a 10 mila chilometri dall'Italia. I dati ufficiali parlano di livelli di radiazioni superiori a 1.000 millisievert all'ora. In altre parole, passeggiando per un'ora nei pressi della centrale in media si assorbe una quantità di emissioni nocive che il corpo umano può tollerare nell'arco di un anno.
Anche se nella conta degli effetti da radiazioni, come ha spiegato a Lettera43.it Giuseppe Miserotti, membro dell’Isde, l’Associazione internazionale dei medici per l’ambiente, presidente dell’Ordine dei medici di Piacenza ed esperto sui temi del nucleare e della salute, entrano in gioco tante altre variabili.
IL CALCOLO DELLE RADIAZIONI. «Non esiste una dose di radiazioni che si può definire sicura», ha detto l'esperto, «primo perché gli individui reagiscono in maniera diversa. Donne, bambini e anziani hanno per esempio organismi più fragili; secondo perché le dosi sono cumulative, terzo perché la contaminazione che avviene attraverso la catena alimentare, a differenza di quella aerea, è indipendente dalla distanza dal luogo del disastro».
In pratica, anche se è vero che rischia di più chi abita nei pressi della centrale, le particelle radioattive si conservano meglio se innestate in altri organismi vegetali o animali vivi, e tramite questi che fungono da vettori, possono raggiungere comodamente ogni angolo del Pianeta.

Il cibo contaminato spaventa più della nube

Se dal Giappone, per esempio, si alza vapore acqueo contenente particelle di iodio radioattivo, la nube che si crea dopo otto giorni ha perso gran parte della sua pericolosità. Questo perché nel frattempo l'isotopo ha dimezzato le sua forza radioattiva.
E anche in Italia sono arrivati i primi venti dal Sol Levante. L'Ispra, l'istituto per il controllo del nucleare dopo aver “acceso” i rilevatori delle agenzie ambientali delle regioni, ha per ora registrato numeri non allarmanti: le masse d'aria provenienti dalle aree contaminate di Fukushima registrate in Lombardia, Valle d'Aosta, Piemonte, Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Umbria hanno livelli radioattivi «infinitesimali» e «non significativi» per la salute dell'uomo.
I RISCHI PER LA CATENA ALIMENTARE. La situazione è diversa per quanto riguarda la catena alimentare. Se un pesce che vive nel Pacifico assorbe plutonio radioattivo dalle acque di scolo della centrale e finisce nella catena alimentare occidentale, diventa un vettore praticamente eterno di radiazioni (il plutonio dimezza la sua radioattività in 24 mila anni).
«La distanza da Fukushima ci protegge, ma bisogna stare attenti a quello che mangiamo e che mangeremo», ha spiegato Miserotti. «È ancora presto per lanciare allarmi. C'è ancora grande confusione sui numeri (fino al 28 marzo Tepco non sapeva se le radiazioni erano di 10 milioni o di 100 mila volte superiori ai limiti, ndr) ma con l'oceano Pacifico e il plutonio di mezzo, una cosa è certa: bisognerà prendere misure precauzionali estese e di lungo periodo».
Non bastano i blocchi all'import di broccoli, spinaci, latte e formaggi: se il plutonio o il cesio finiscono nelle acque del Pacifico sarebbe opportuno, secondo l'esperto, che l'Organizzazione mondiale della Sanità, valutasse vincoli anche alla pesca.

Martedì, 29 Marzo 2011

Fonte: http://www.lettera43.it

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