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Wednesday, July 20, 2011

Così Einstein pagò i suoi debiti con l'astronomia

Quando nel 1915 Einstein pubblicò la relatività generale, disse che in tutto il mondo esistevano non più di cinque persone in grado di comprendere la sua teoria, e non sappiamo se in quel numero includesse se stesso. Oggi si stima che siano centomila le persone che padroneggiano la relatività generale. Ma sono milioni quelli che ogni giorno la sperimentano. Succede quando usiamo il navigatore della nostra automobile o un altro tipo di ricevitore dei satelliti GPS, Global Positioning System. E ora anche quando scattiamo una foto o usiamo una telecamera dell’ultima generazione: i satelliti GPS servono a fissare su ogni immagine le coordinate del luogo fotografato.

“Il GPS – scrive Marco Potenza – può essere visto come uno strumento che compie costantemente esperimenti di Relatività, sviluppato e mantenuto interamente al di fuori dell’ambito scientifico e, da questo punto di vista, a costo zero. Un apparato così raffinato per la verifica delle equazioni che descrivono lo spazio-tempo in prossimità della massa terrestre rappresenta una preziosa opportunità per gli scienziati.” .

Non illudiamoci però di compiere in modo diretto una verifica della Relatività ogni volta che battiamo un indirizzo sul nostro navigatore come se fossimo altrettanti scienziati. “Il singolo utente non è realmente sperimentatore come potrebbe sembrare a prima vista – precisa Potenza -. Per motivi di funzionalità il sistema viene costantemente tenuto sotto controllo e corretto in maniera tale da mantenere limitati gli errori. Di conseguenza non può succedere che un’ipotetica correzione alla Relatività venga scoperta sulla base di posizionamenti non corretti da parte degli utenti del GPS”.

Traggo queste interessanti considerazioni dal libro fresco di stampa “Dio non gioca a dadi. L’eredità di Einstein: spazio, tempo e materia” edito da Hoepli (205 pagine, 17,90 euro), una sintesi divulgativa della teoria della Relatività e delle sue implicazioni astronomiche e cosmologiche. Ennesima sintesi divulgativa, si potrebbe dire, ricordando che ne circolano molte e che lo stesso Einstein sentì il bisogno di scrivere un libro per spiegare in modo semplice la propria teoria e allargare un po’ quella cerchia di cinque persone che, forse ottimisticamente, supponeva fossero in grado di capirne a fondo il contenuto.

Marco Potenza è un apprezzato conferenziere del Planetario di Milano (tradizione di famiglia) e ricercatore presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Milano, dove lavora allo sviluppo di nuovi strumenti ottici (uno di essi è in funzione sulla Stazione Spaziale Internazionale). Il titolo “Dio non gioca a dadi” riprende una celebre battuta con la quale Einstein intendeva colpire la meccanica quantistica e la natura intrinsecamente non deterministica di questa nuova fisica, indispensabile per affrontare la comprensione del microcosmo atomico e subatomico. Peraltro Einstein, che considerò sempre la meccanica dei quanti una teoria provvisoria e in sostanza non corretta, aveva contribuito in modo decisivo a fondarla introducendo nel 1905 il concetto di fotone come particella di luce, in grado di produrre l’effetto fotoelettrico, cioè l’emissione di elettroni da parte di metalli esposti a raggi luminosi, e paradossalmente fu per questo lavoro, cardine della meccanica dei quanti, che nel 1921 ricevette il premio Nobel.

E’ interessante riflettere in termini quasi economici sui rapporti tra Einstein e l’astronomia. Il grande scienziato tedesco è debitore verso l’astronomia di due dati fondamentali. Fu il dato astronomico lo spostamento del perielio di Mercurio a mettere in crisi la meccanica celeste classica di Newton e a spingere Einstein a cercare una soluzione, che venne infatti dalla Relatività generale. E fu l’osservazione di una eclisse totale di Sole osservata da Arthur Eddington nel 1919 (non nel 1922, come si legge in “Dio non gioca a dadi”) a fornire la prima prova sperimentale della curvatura dello spazio-tempo da parte delle masse, nel caso specifico la massa del Sole.

Lo spostamento del perielio di Mercurio fu messo in evidenza da Urbain Le Verrier nel 1859. Facendo i calcoli secondo la meccanica di Newton, l’asse maggiore dell’orbita di Mercurio avrebbe dovuto avanzare di 532 secondi d’arco in un secolo per effetto delle perturbazioni indotte dagli altri pianeti. L’avanzamento misurato era invece più grande di 53 secondi d’arco. Le Verrier suppose che ciò fosse dovuto a piccoli pianeti ancora sconosciuti interni all’orbita di Mercurio. Oggi sappiamo che di questi pianetini non c’è traccia, ma la Relatività ha giustificato perfettamente l’avanzamento misurato dagli astronomi.

La curvatura dello spazio-tempo fu invece dimostrata dalla deflessione dei raggi luminosi di alcune stelle dell’ammasso delle Pleiadi, rilevata sulle fotografie dell’eclisse totale di Sole del 29 maggio 1919 riprese da due spedizioni, una all’isola di Principe e una a Sobral, in Brasile.

I due debiti contratti da Einstein con l’astronomia sono stati pagati con gli interessi. In cambio l’astronomia ha avuto una teoria che descrive l’universo in espansione, prevede e descrive i buchi neri e le lenti gravitazionali (poi affettivamente osservati), prevede le onde gravitazionali e ne descrive l’emissione in sistemi doppi stretti di pulsar o di stelle e pulsar. Alle innumerevoli prove sperimentali della Relatività si è inoltre aggiunta l’osservazione dell’effetto Lense-Thirring (i due fisici che lo previdero nel 1920) dimostrato per la prima volta da Ignazio Ciufolini (Università di Lecce) grazie a misure fatte sui satelliti Lageos.1 e 2.

Tornando al GPS, due osservazioni. Questa costellazione di 24 o più satelliti funziona proprio perché ad essa vengono applicate due correzioni comportate dalla Relatività: a causa del moto relativo tra ricevitori e satelliti si ha infatti una dilatazione temporale (in accordo con la relatività ristretta) che corrisponde negli orologi atomici a bordo dei satelliti a 7,2 milionesimi di secondo al giorno, mentre per la diversa intensità del campo gravitazionale(in accordo con la relatività generale) tra gli orologi in orbita e quelli al suolo si ha un anticipo di 4,9 milionesimi di secondo al giorno. L’altra osservazione, richiamata da Marco Potenza nella pagina conclusiva mette in evidenza che tuttavia il GPS non funzionerebbe se ci si limitasse ad applicare la Relatività. Occorre anche la meccanica quantistica per far funzionare gli orologi atomici. Quella meccanica quantistica che Einstein liquidava con la battuta sui dadi, manifestando così tutta la sua nostalgia conservatrice per il determinismo della fisica classica.

Tratto da: http://www.reporterliveitalia.info

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