Occorre modificare il sistema di sicurezza delle centrali nucleari francesi, lo sostiene un nuovo rapporto dell'Autorité de sûreté nucléaire
Occorre modificare il sistema di sicurezza delle centrali nucleari francesi. Perché in questo momento non possiamo essere certi che una mancanza improvvisa di elettricità o di refrigerante, generate da un terremoto molto intenso o da qualsiasi altra causa straordinaria e non prevista, non porti a una fusione più o meno parziale del nocciolo, come è avvenuto lo scorso 11 marzo nella centrale di Fukushima
Daiichi, in Giappone. Occorre, in particolare, costruire rivestimenti che non consentano all’acqua radioattiva di fuoriuscire nell’ambiente esterno, come è avvenuto a Fukushima. E occorre allestire un equipe specializzata che, in caso di incidente grave, sia in grado di intervenire nel giro di poche ore in qualsiasi centrale francese sapendo bene cosa fare, al contrario di quanto è avvenuto in Giappone, dove i tecnici della TEPCO si sono dimostrati impreparati a gestire l’emergenza.
È questo il succo del rapporto che l'Autorité de sûreté nucléaire (ASN) della Francia, ha reso pubblico la scorsa settimana a Parigi. Ed è un rapporto per molti versi clamoroso. Per almeno tre motivi. Perché l’agenzia preposta ad assicurare la sicurezza nucleare nel paese più nuclearizzato al mondo riconosce che l’incidente più grave – la fusione del nocciolo – nelle sue centrali (sono 58 i reattori operativi), sebbene sia un’evenienza estremamente remota, non è del tutto impossibile. Perché propone interventi di modifica del sistema di sicurezza piuttosto costosi: Électricité de France (EDF), il gestore della rete nucleare transalpina, dovrebbe sborsare una cifra vicina ai 13 miliardi di euro. Perché, infine, un analogo rapporto presentato lo scorso 31 dicembre a Londra, sostiene che il sistema di sicurezza delle centrali nucleari inglesi è perfettamente in grado di reggere a sollecitazioni fortissime e impreviste come quelle di Fukushima e, dunque, nella deve essere modificato.
Nelle prossime settimane entrambi i rapporti verranno sottoposti una a revisione critica da parte di esperti dell’Unione europea. Sapremo così se qualcuno ha sbagliato analisi o se le differenze sono spiegabili con i diversi tipi di centrali esistenti tra le due sponde della Manica: raffreddate per lo più ad acqua in Francia, raffreddate per lo più con gas pressurizzato nel Regno Unito. La vicenda non riguarda solo la Francia (e la Gran Bretagna). Ma l’industria nucleare di tutto il mondo. Perché, come ha detto André-Claude Lacoste, il capo dell’ASN, l’11 marzo 2011 rappresenta uno spartiacque: l’era nucleare si divide in prima e dopo Fukushima. Se, infatti, per gravità l’incidente giapponese è del medesimo livello di quello di Chernobyl e se per effetti sanitari molti ritengono sia meno grave di quello sovietico, dal punto di vista dell’immagine della fonte nucleare esso è stato di gran lunga peggiore. Perché se il disastro di Chernobyl poteva essere attribuito all’arretratezza organizzativa del sistema sovietico, quello di Fukushima ha dimostrato che un incidente del massimo livello può avvenire anche in uno dei paesi più avanzati. E che, come rileva la rivista scientifica Nature, il «dogma fondamentale» della moderna sicurezza nucleare – che il combinato disposto di sistemi di intervento ridondanti e di forti difese fisiche (l’involucro in cemento in cui è contenuto il reattore), sono in grado di resistere a qualsiasi stimolo e sono in grado di evitare la fusione del nocciolo – non ha retto alla prova. Cosicché, rileva ancora Nature, una nuova Fukushima significherebbe, questa volta, la fine del nucleare.
E i francesi, che sull’atomo continuano a puntare molto (i tre quarti della produzione di energia elettrica francese è da fonte nucleare), non vogliono prendere neppure in considerazione quest’ipotesi.
Di Pietro Greco
Daiichi, in Giappone. Occorre, in particolare, costruire rivestimenti che non consentano all’acqua radioattiva di fuoriuscire nell’ambiente esterno, come è avvenuto a Fukushima. E occorre allestire un equipe specializzata che, in caso di incidente grave, sia in grado di intervenire nel giro di poche ore in qualsiasi centrale francese sapendo bene cosa fare, al contrario di quanto è avvenuto in Giappone, dove i tecnici della TEPCO si sono dimostrati impreparati a gestire l’emergenza.
È questo il succo del rapporto che l'Autorité de sûreté nucléaire (ASN) della Francia, ha reso pubblico la scorsa settimana a Parigi. Ed è un rapporto per molti versi clamoroso. Per almeno tre motivi. Perché l’agenzia preposta ad assicurare la sicurezza nucleare nel paese più nuclearizzato al mondo riconosce che l’incidente più grave – la fusione del nocciolo – nelle sue centrali (sono 58 i reattori operativi), sebbene sia un’evenienza estremamente remota, non è del tutto impossibile. Perché propone interventi di modifica del sistema di sicurezza piuttosto costosi: Électricité de France (EDF), il gestore della rete nucleare transalpina, dovrebbe sborsare una cifra vicina ai 13 miliardi di euro. Perché, infine, un analogo rapporto presentato lo scorso 31 dicembre a Londra, sostiene che il sistema di sicurezza delle centrali nucleari inglesi è perfettamente in grado di reggere a sollecitazioni fortissime e impreviste come quelle di Fukushima e, dunque, nella deve essere modificato.
Nelle prossime settimane entrambi i rapporti verranno sottoposti una a revisione critica da parte di esperti dell’Unione europea. Sapremo così se qualcuno ha sbagliato analisi o se le differenze sono spiegabili con i diversi tipi di centrali esistenti tra le due sponde della Manica: raffreddate per lo più ad acqua in Francia, raffreddate per lo più con gas pressurizzato nel Regno Unito. La vicenda non riguarda solo la Francia (e la Gran Bretagna). Ma l’industria nucleare di tutto il mondo. Perché, come ha detto André-Claude Lacoste, il capo dell’ASN, l’11 marzo 2011 rappresenta uno spartiacque: l’era nucleare si divide in prima e dopo Fukushima. Se, infatti, per gravità l’incidente giapponese è del medesimo livello di quello di Chernobyl e se per effetti sanitari molti ritengono sia meno grave di quello sovietico, dal punto di vista dell’immagine della fonte nucleare esso è stato di gran lunga peggiore. Perché se il disastro di Chernobyl poteva essere attribuito all’arretratezza organizzativa del sistema sovietico, quello di Fukushima ha dimostrato che un incidente del massimo livello può avvenire anche in uno dei paesi più avanzati. E che, come rileva la rivista scientifica Nature, il «dogma fondamentale» della moderna sicurezza nucleare – che il combinato disposto di sistemi di intervento ridondanti e di forti difese fisiche (l’involucro in cemento in cui è contenuto il reattore), sono in grado di resistere a qualsiasi stimolo e sono in grado di evitare la fusione del nocciolo – non ha retto alla prova. Cosicché, rileva ancora Nature, una nuova Fukushima significherebbe, questa volta, la fine del nucleare.
E i francesi, che sull’atomo continuano a puntare molto (i tre quarti della produzione di energia elettrica francese è da fonte nucleare), non vogliono prendere neppure in considerazione quest’ipotesi.
Fonte: http://www.unita.it
Commento di Oliviero Mannucci: Meno male che in Italia la maggior parte della gente non ci è cascata, era infatti dalla Francia che l'Italia doveva attingere conoscenze per costruire le centrali nucleari di ultima generazione, che ha detta proprio dei francesi NON SONO SICURE. C'è qualcuno che ha ancora qualche dubbio?!
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