Evacuazione forzata di tutta la popolazione nel raggio di 170 chilometri: il 25 marzo 2011, nell'ufficio dell'ex primo ministro Naoto Kan è approdato un rapporto di 20 pagine che a due settimane dall'incidente di Fukushima (vedi Galileo) descriveva il peggiore degli scenari immaginabili. Nel caso di nuove esplosioni nei reattori, le autorità avrebbero dovuto chiedere a Tokyo di valutare lo sfollamento della città. Il quotidiano The Japan Times ha pubblicato parte dei dettagli contenuti del documento lo scorso 5 gennaio.
La capitale rientrava, infatti, nella zona di 250 chilometri di raggio a rischio di essere investita da un fallout innescato da nuove ipotetiche esplosioni all'interno dell'impianto. La struttura di contenimento del reattore 1 era già crollata il 12 marzo, mentre tre giorni dopo era toccato alla copertura del numero 4 – allora già spento per manutenzione – vicino a cui erano stoccate grandi quantità di combustibile radioattivo in fase di raffreddamento. Se si fossero verificate altre deflagrazioni, probabilmente il livello di radioattività sarebbe stato tale da impedire ai tecnici della Tepco di raffreddare i reattori e scongiurare una catastrofe di dimensioni incontenibili.
Fortunatamente, le radiazioni non hanno impedito alle squadre di emergenza di intervenire - seppur con grandi difficoltà - e la temperatura dell'impianto è stata tenuta sotto controllo grazie a massicce iniezioni di acqua marina. Tuttavia, dalle crepe nei basamenti di Fukushima il liquido radioattivo è percolato fino in mare, contaminando l'intera zona. Nei mesi successivi, i tecnici hanno proseguito i lavori in condizioni estreme – finora sono morti tre operai – e la temperatura dei reattori è stata riportata sotto i 100°C, quanto basta per far dichiarare al governo che la situazione è sotto controllo.
Ma gli ultimi rilevamenti diffusi da Tepco segnalano che il 16 gennaio, all'interno del reattore 2, la temperatura ha superato i 116°C. Questo significa che il combustibile radioattivo alla base dell'impianto potrebbe essere ancora pericoloso, sebbene il gestore giapponese abbia sminuito la faccenda chiamando in causa un malfunzionamento dei sensori. Se i livelli di temperatura continuassero a crescere, l'azienda potrebbe essere costretta a rimandare le decennali operazioni di messa in sicurezza dell'impianto. Come se non bastasse, lo scorso 12 gennaio il Giappone è stato scosso da un sisma di magnitudo 5.7. Questa volta non ci sono state onde di tsunami, ma la centrale di Fukushima resta comunque un obiettivo troppo esposto.
Inoltre, secondo le analisi effettuate dalla ong Nuclear Threat Initiative (Nti), il Giappone si attesta come uno dei paesi meno efficienti nel garantire l'operato di una Agenzia indipendente per la regolamentazione degli impianti nucleari. Infatti, come ha rivelato il quotidiano Mainichi, per 8 anni la Japan Nuclear Energy Safety Organization (Jnes) avrebbe condotto diversi controlli nelle centrali nucleari basandosi su standard tecnici fotocopiati direttamente dai manuali delle compagnie private che gestiscono gli impianti. Una condotta inaccettabile per una authority che dovrebbe vigilare in totale autonomia.
Photo credits: Abode of Chaos / Flickr
Lorenzo Mannella - http://www.galileonet.it
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