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Sunday, December 25, 2011

Addio al 2011, l’anno vissuto pericolosamente


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Federico Tulli

AMBIENTE. Da Fukushima, allo scioglimento dei ghiacci al Polo Nord, passando per le alluvioni che hanno squassato l’Italia. Ci lasciamo alle spalle i dodici mesi più disastrosi (e caldi) di sempre.

Alcuni ritengono sia stato il più grave disastro nucleare della storia, altri, il secondo dopo Chernobyl. Fatto sta che la crisi nucleare provocata a Fukushima in Giappone dal “combinato disposto” terremoto/tsunami dell’11 marzo scorso, segnala l’anno che si va chiudendo come uno dei peggiori nella storia umana dal punto di vista del rapporto con l’ambiente. Come sempre accade in questi casi la ferita causata dalle radiazioni fuoriuscite dalla centrale, trasportate dal mare e dal vento in giro per il pianeta, impiegherà anni per rimarginarsi. Non solo, la Tepco, società di gestione dell’impianto danneggiato, ha appena annunciato che serviranno da 30 a 40 anni per smantellare completamente i reattori responsabili del disastro. Ma il 2011 sarà ricordato anche per il picco di emissioni di gas a effetto serra mai raggiunto prima, lo scioglimento dei ghiacciai marini al Polo Nord che eguaglia il record del 2007, e una lunga scia di disastri climatici che hanno colpito pure l’Italia. Senza dubbio si chiude un anno bollente.

I 41 indicatori che il National oceanic and atmospheric administration usa per monitorare la temperatura globale di mare, terra e aria hanno mostrato in modo inequivocabile che sulla Terra fa sempre più caldo. A luglio il Noaa ha comunicato che la temperatura media rilevata negli ultimi 300 mesi (25 anni) è sempre stata sopra la media, e che dal 1997 in poi abbiamo vissuto 13 anni dei 15 più caldi di sempre. Il dato più preoccupante viene da un indice mai sufficientemente evidenziato. Nonostante la crisi che attanaglia gran parte dei Paesi industrializzati, la concentrazione di CO2 misurata a Mauna Loa (Hawaii) ha toccato quota 394 parti per milione. Vale a dire il 39 per cento in più (280 ppm) rispetto all’inizio dell’era industriale, ovvero prima dell’uso dei combustibili fossili su larga scala. Ci si avvia verso il punto di non ritorno che gli scienziati dell’Ipcc individuano nelle 450 ppm, e che in assenza di interventi può innescare effetti catastrofici e irreversibili.

Secondo i calcoli più ottimistici lo raggiungeremo entro due decenni. Per intuire quali saranno le conseguenze basta guardare cosa è successo in Italia nel 2011. Sono passati 60 anni dall‘alluvione del Polesine (84 morti e migliaia di persone che persero tutto) ma l’ultimo rapporto Ecosistema rischio 2011 parla ancora di un Paese in balia del dissesto idrogeologico. Gli esperti di Legambiente e Protezione civile hanno ricostruito una storia che vede strettamente connesse la fragilità del territorio e la mancanza di politiche di prevenzione, contando 6633 comuni a rischio frane e alluvioni. La maglia nera tocca alla Calabria con il 100 per cento dei comuni in pericolo, il più virtuoso è il Veneto con il 56 per cento. Riavvolgendo velocemente il nastro degli ultimi 12 mesi, ecco allora come si spiega che poche ore di pioggia, seppur violenta, abbiano annichilito città come Genova, La Spezia, Roma, Napoli e Messina, e devastato l’alta Toscana, l’isola d’Elba e le Cinque Terre, solo per citarne alcune.

Fonte: http://www.terranews.it

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