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Sunday, January 1, 2012

A caccia di pianeti (come la Terra)

Stiamo scoprendo corpi celesti extrasolari abitabili a manetta. Ma bisogna vedere se possono ospitare davvero la vita. Ecco come faremo a saperlo nel prossimo futuro

I cacciatori di pianeti sembrano scatenati. Ormai, quasi non passa settimana senza una new-entry nel censimento del telescopio spaziale Kepler della Nasa, al quale danno manforte, qui in Terra, lo strumento Harps dell’Eso, montato all’Osservatorio La Silla in Cile, e chiunque abbia voglia di perdere un po’ di tempo al computer con il progetto Planet Hunters. Più di un migliaio i mondi alieni già schedati, di cui 700 confermati e una cinquantina potenzialmente abitabili, come i recentissimi Kepler-22b e la doppietta 20e e 20f, molto simili alla Terra.

Anche se la tentazione può essere forte, è ancora presto però per fare le valigie e cambiare aria. Già, perché (a parte gli insormontabili problemi logistici), “ se al momento siamo in grado di stabilire con certezza se un pianeta orbiti o meno nella fascia di abitabilità, cioè a una distanza dalla sua stella compatibile con la presenza di acqua liquida in superficie, non possiamo ancora pronunciarci sulla natura di questi mondi lontani”, spiega John Robert Brucato, astrobiologo e ricercatore presso l’ Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell’ Inaf. “ Con le missioni spaziali di nuova generazione, saremo in grado di compiere quel salto tecnologico che ci consentirà di scoprire se sono realmente posti ospitali”. Sarebbe sconsiderato, insomma, cominciare a meditare l’acquisto di una casa a 600 anni luce da qui per trasferirsi su Kepler 22-b, o addirittura emigrare su KOI736.01, a detta degli scienziati del Planetary Habitability Laboratory, il posto nell’Universo più simile al nostro in graduatoria. Si rischierebbe di non riuscire a camminare per la mancanza di roccia sotto i piedi, trovare un clima mite, ma irrespirabile, arrostire per l’assenza di un’atmosfera.

Come possiamo stabilire se su un pianeta ci può essere vita? L’Esa ha stilato una roadmap per una delle sfide scientifiche e tecnologiche più eccitanti della moderna astrofisica. L’ipotesi d’inviare sonde perlustrative sul posto è scartata a priori. “ Troppo lontani”, sorride Brucato. “ Viaggiando alla velocità della luce, servirebbero secoli o millenni per raggiungere i più vicini. Possiamo solo basarci su misurazioni indirette”. La via privilegiata è la ricerca dei biomarkers, ovvero le “impronte digitali” della biologia.

Le principali agenzie spaziali stanno progettando future missioni, come Terrestrial Planet Finder della Nasa, Echo e Plato dell’Esa, mirate ad analizzare l’atmosfera nei candidati più simili alla Terra orbitanti, possibilmente ruotanti intorno a stelle di piccola massa”, prosegue Brucato. “ Nel transito dell’esopianeta di fronte alla sua stella, un telescopio di nuova generazione dovrebbe osservare prima l’alone dell’atmosfera, con una diminuzione della radiazione luminosa, quindi l’eclissi totale dovuta al passaggio del corpo celeste, di nuovo l’alone e infine la luce piena della stella.

Già questo, dimostrerebbe la presenza di un’atmosfera. Sofisticati interferometri potrebbero poi dirci, in base al diverso assorbimento della radiazione delle varie molecole, qual è la composizione della stessa. Ossigeno, vapore acqueo, anidride carbonica, azoto, ozono e altri composti chimici sarebbero indizi molto forti a favore della possibile presenza di forme di vita”.

La statistica ci dice che da qualche parte, là fuori, devono nascondersi altre forme viventi, magari elementari come microbi o vermiciattoli. Ma trovare ET sarà un’impresa ardua. Perché la vita possa effettivamente svilupparsi su un pianeta roccioso occorrono condizioni estremamente improbabili: acqua liquida in superficie, atmosfera che filtri le radiazioni e lasci passare sufficiente energia, terraferma, un asse di rotazione inclinato per permettere il ciclo delle stagioni. E un lungo periodo di tranquillità senza catastrofi naturali sul pianeta, esplosioni di supernovae nelle vicinanze, asteroidi in collisione. Mica facile, insomma.

L’unica possibilità che abbiamo per avere conferma diretta che non siamo soli nell’Universo arriva dall’analisi di campioni extraterrestri raccolti nel nostro Sistema Solare e riportati a Terra. Quello che si propone di fare la sonda Curiosity della Nasa in partenza per Marte, e nuove missioni indirizzate verso gli asteroidi, come Marco Polo-R, finalista del programma Cosmic Vision europeo, o le comete di passaggio. L’incontro con gli alieni, comunque, non è l’unico sogno nel cassetto. A quando la colonizzazione umana di nuovi mondi? “Per gli esopianeti, è un obiettivo praticamente fantascientifico”, risponde Brucato. “Una spedizione umana su Marte o su un asteroide è invece nei progetti futuri della Nasa, anche se è impensabile realizzarvi una base permanete. La Luna, invece, più vicina e accessibile, potrebbe diventare una miniera per l’approvvigionamento di materie prime che sulla Terra cominciano a scarseggiare. Presto, per esempio, non avremo più elio per gonfiare i palloncini, mentre il nostro satellite naturale ne è ricco”.

Daniela Cipolloni / daily.wired.it

Commento di Oliviero Mannucci: Quando Newton scoprì la forza di gravità, non è che la gravità non ci fosse prima, c'era lo stesso. Quindi più che di scoperte, si dovrebbe parlare di presa di coscienza da parte dell'uomo di certe realtà o di certe leggi. L'universo è strapieno di pianeti simili alla Terra che si trovano in varie fasi evolutive ed è strapieno di pianeti molto diversi dalla Terra. La vita è diffusa ovunque, sia nella nostra dimensione che in altre. Per non parlare poi dell'anti universo. Tutte queste realtà esistono da sempre, c'è solo il tempo che ci separa da esse. Quel tempo che farà si che l'uomo prenda coscienza di queste dimensioni e della sua immensa ignoranza!


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