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Tuesday, September 20, 2011

Astronomia: la vita segreta dei brillamenti solari


di Renato Sansone



Centocinquantadue anni fa, un uomo chiamato Richard Carrington scoprì dalla sua Inghilterra i brillamenti solari. Erano le 11:18 di un Giovedì mattina soleggiato, nel 1859. Proprio come ogni mattina, l’astronomo era impegnato nel suo osservatorio privato da dove osservava costantemente il Sole attraverso la proiezione dell’immagine solare su uno schermo, mentre disegnava ciò che guardava. Quella mattina tracciò i contorni di un enorme gruppo di macchie solari. Improvvisamente, davanti ai suoi occhi, si resero visibili due perle brillanti di luce bianca nella parte superiore alle macchie, così luminose che riusciva a malapena a guardare lo schermo. Carrington urlò nella speranza che qualche testimone potesse vedere ciò che lui stava osservando, ma per vari minuti nessuno si fece vivo, ed il primo brillamento solare mai osservato in precedenza stava svanendo. Non sarebbe stato l’ultimo. Da allora, gli astronomi hanno registrato migliaia di flare attraverso l’utilizzo di strumenti che vanno dai più semplici telescopi da cortile agli spettrometri più complessi su veicoli spaziali avanzati. Forse nessun altro fenomeno in astronomia è stato studiato tanto. Dopo tutto questo controllo, si potrebbe supporre che tutto ciò che riguarda i brillamenti solari sarebbe conosciuto. Ma non è così. I ricercatori hanno recentemente annunciato che i brillamenti solari sono sempre stati un segreto. “Abbiamo appena appreso che alcuni flare sono molte volte più forti di quanto si pensasse”, afferma il fisico dell’Università di Colorado Tom Woods che ha guidato il team di ricerca. “I brillamenti solari erano già le più grandi esplosioni nel sistema solare, e questa scoperta li rende ancora più grandi.” Ma qual è la scoperta? Il NASA Solar Dynamics Observatory (SDO), lanciato nel febbraio 2010, rileva che circa 1 su 7 flare provoca una “scossa di assestamento.” Circa 90 minuti dopo il brillamento essa si placa, producendo un aumento extra di raggi ultravioletti. “Noi lo chiamiamo il ‘bagliore in fase tardiva’“, dice Woods che poi aggiunge: ”L’energia in fase tardiva può superare l’energia del flare primario di quattro volte.” Quali sono le cause di questa fase tardiva? I brillamenti solari si verificano quando i campi magnetici delle macchie solari eruttano, in un processo chiamato “riconnessione magnetica.” Uno schema preparato da Garretto, membro del team Rachel della University of Colorado, mostra come funziona. L’energia supplementare dalla fase tardiva può avere un grande effetto sulla Terra. La riconnessione magnetica è il processo mediante il quale il campo magnetico interplanetario punta in direzione opposta a quello terrestre o di una stella o di un qualsiasi altro corpo celeste, cioè, più generalmente, le linee di campo magnetico puntano in direzione opposta rispetto all’asse del dipolo del campo magnetico più intenso. Si tratta di una violazione di una approssimativa legge di conservazione in fisica dei plasmi e può concentrare l’energia sotto forma meccanica o magnetica sia nello spazio che nel tempo. L’effetto più visibile della riconnessione magnetica è senz’altro l’aurora polare, giacché la magnetosfera terrestre funziona come uno scudo, schermando la Terra dall’impatto diretto delle particelle cariche (plasma) che compongono il vento solare. In prima approssimazione queste particelle “scivolano” lungo il bordo esterno della magnetosfera (magnetopausa) e passano oltre la Terra. In realtà, a causa proprio della riconnessione magnetica il plasma del vento solare può penetrare dentro la magnetosfera e, dopo complessi processi di accelerazione, interagire con la ionosfera terrestre, depositando immense quantità di protoni ed elettroni nell’alta atmosfera, e dando luogo, in tal modo, al fenomeno delle aurore. Il tipo più comune di riconnessione magnetica è il separatore di riconnessione, in cui quattro distinti domini magnetici si scambiano temporaneamente le linee magnetiche, invertendole casualmente.

Quando l’atmosfera del nostro pianeta è riscaldata da raggi UV estremi, si gonfia, accelerando il decadimento a bassa orbita dei satelliti. Inoltre, l’azione ionizzante dei raggi UV estremi possono piegare i segnali radio e disturbare il normale funzionamento del GPS. SDO è riuscito a fare la scoperta grazie alla sua capacità di visionare 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. Con questo tipo di controllo, è difficile mantenere un segreto – anche uno molto vecchio come questo.

Fonte: http://www.meteoweb.eu

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